Vasti canyon, tracciati di antichi fiumi, tempeste di polvere, maestosi vulcani.
Un paesaggio desertico, freddo, arido, anzi no inaridito. Sì perché questo ambiente, all’apparenza geologicamente inerte, un tempo era caldo, solcato da canali, forse vivibile, simile alla Terra, prima, e, soprattutto, non distante da ciò che il nostro pianeta potrebbe diventare. Le suggestive immagini del volume Mars. Photographs from the NASA Archives, appena pubblicato da Taschen, che spazia dalle prime vedute di Marte, scattate dalla sonda Mariner 4 nel 1965, a quelle più recenti, documentano con precisione lo stato del Pianeta Rosso fornendo importante materiale di studio. Marte, proprio per le affinità con la Terra, potrebbe essere lo “specchio” di una sorte comune. Insomma, il suo passato potrebbe essere il nostro futuro. Studiarlo significa, quindi, indagare anche il nostro domani e le “soluzioni” per eventuali criticità. Tra gli autori del volume, James L. Green, Chief Scientist della Nasa, presso cui ha lavorato per oltre quarant’anni, dal 2018 al 2022 anche come direttore del programma planetario, guidando una dozzina di missioni di successo. Alcuni di quei traguardi hanno cambiato il nostro modo di vivere, grazie a studi e invenzioni.
Dottor Green, quanto influisce lo studio dello Spazio sulla nostra vita quotidiana?
«In modo enorme. Basti pensare ai satelliti usati per osservare il meteo in tutto il mondo. Sono stati gli scienziati della Nasa a scoprire il cambiamento climatico e con i satelliti stanno monitorando come e quanto il clima sta mutando. Anche la strategia da adottare per salvare l’ozono si deve agli scienziati della Nasa, come la scoperta che la distruzione si deve ai CFC (Clorofluorocarburi, ndr)».
Potrebbe essere nell’esplorazione spaziale la risposta al cambiamento climatico?
«Il monitoraggio che la Nasa fa della Terra mostra chiaramente sia come la temperatura media aumenta nel tempo sia le fonti dei gas serra. E ciò consente alla politica di prendere decisioni efficaci mirate alla riduzione delle emissioni di gas. L’idea, prospettata da alcuni, che la Nasa voglia andare su Marte come se dovesse essere meta di trasferimenti non è corretta. La Terra è insostituibile. Marte non le somiglierà nemmeno nei prossimi 10mila anni, ma è un pianeta degno di essere esplorato, vissuto e su cui lavorare».
La colonizzazione e l’abitazione dello Spazio, però, sono possibilità concrete?
«Sì, personalmente credo che vedremo alcuni insediamenti permanenti non solo sulla Luna ma su Marte nei prossimi 75 anni»
In che modo lo studio di Marte può cambiare la nostra conoscenza anche della Terra?
«È importante riconoscere che ciò che accade su Marte può accadere sulla Terra. Ad esempio, Marte attualmente non ha un campo magnetico che lo protegga dal vento solare. La fisica di come il vento solare interagisce con le atmosfere dei pianeti senza campi magnetici è solo una delle cose che studiamo su Marte e questo sicuramente accadrà alla Terra nel suo futuro durante le inversioni magnetiche. Crediamo che sia il vento solare ad aver spazzato via gran parte dell’atmosfera dalla gravità di Marte. Sono questi tipi di interazioni che dobbiamo comprendere anche quando cerchiamo altre forme di vita».
La digressione è d’obbligo: siamo soli o no?
«La Nasa non ha trovato vita al di fuori della Terra, ma la sta ancora cercando. Credo che ci sia vita su altri pianeti e su lune oltre la Terra in attesa di essere scoperte, ma la maggior parte di questa vita probabilmente non è complessa come lo sono gli esseri umani e quindi la vita intelligente potrebbe essere relativamente rara nella Via Lattea».
Dunque, ciò che è accaduto a Marte potrebbe verificarsi sulla Terra: studiando Marte, guardiamo al nostro futuro?
«Sì, credo che sia così. Ecco perché è così importante per noi comprendere l’evoluzione dei pianeti terrestri come Venere e Marte».
E poi ci sono gli asteroidi detti Neo-Near Earth Object, che, in caso di impatto, sono considerati possibili killer di pianeti: cosa ci attende?
«I Neo hanno avuto un forte impatto sulla Terra nel corso della sua storia, alterando il corso della vita sul pianeta. La Nasa ne ha identificati quasi 30mila sui circa 100mila pericolosi previsti. I Neo che attraversano la nostra orbita o volano entro 20 milioni di miglia hanno dimensioni che vanno da decine di metri a vari chilometri. In caso di grandi dimensioni, si verificherebbero effetti atmosferici globali duraturi, per la grande quantità di materiale da impatto sollevato al di sopra dell’atmosfera, bloccando la luce solare, e per i detriti che ricadrebbero sulla Terra per giorni o anni, causando l’estinzione di molte specie».
L’esplorazione spaziale ci insegna anche come tutelarci?
«Le conseguenze sarebbero devastanti, perciò il governo Usa ha deciso di essere preparato. A gennaio 2016, ho creato l’Ufficio di Difesa Planetaria per sviluppare strategie di mitigazione e missioni per difendere la Terra dai Neo pericolosi. Nel rapporto 2010 Defending Planet Earth della National Academy of Sciences sono state delineate più strategie di mitigazione. Per i Neo di piccole dimensioni, con tempi di preavviso brevi (da 10 ore a pochi giorni), dovrebbero essere usate le procedure di protezione civile. Per quelli medi, con tempi di preavviso più lunghi, è preferibile la simulazione cinetica, Per i molto grandi si dovrebbero prendere in considerazione il trattore gravitazionale o il nucleare in base al preavviso. La tecnica dell’impatto cinetico consiste nello spostare l’intero Neo».
Ora cosa accadrà?
«Questo è solo l’inizio di un processo più lungo e sostenibile di difesa planetaria, la National Academy of Sciences ha raccomandato alla Nasa di sviluppare una missione di ricognizione a risposta rapida progettata per raccogliere i dati chiave per prepararsi al meglio per un allarme a breve termine. Un nuovo obiettivo è nella Strategia nazionale di preparazione per i rischi di Neo: la Nasa dovrebbe sviluppare tecnologie per le missioni di ricognizione, deviazione e interruzione dei Neo».
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