Rastrellare risorse. È l’unica via per cambiare la manovra in Parlamento, consentendo ai partiti di maggioranza di piantare qualche bandierina senza stravolgere la legge di bilancio. Modificare sì, ma lasciando i saldi invariati come da diktat del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Che non sarà né Trump né Papa Prevost, come chiarito dallo stesso ministro, ma che di sbavature sui saldi in calce alla manovra non vuol sentir parlare. «La coperta è corta ma ce la faremo bastare», conferma in scia Giorgia Meloni, che sulla linea del rigore fa asse col responsabile del Mef, in piena sintonia sui conti in ordine.
Ma qualcosa si dovrà pur fare, e così in Senato — dove la manovra è approdata e dove oggi si entra nel vivo con l’avvio delle audizioni — si ragiona su un’idea che potrebbe portare risorse fresche alle casse dello Stato, consentendo ai partiti di incassare ben più d’una battaglia senza far storcere il naso al governo. Puntando sul bene rifugio per eccellenza: l’oro, un porto sicuro in una fase dominata dalle tensioni geopolitiche e dalle guerre commerciali. Con un record dietro l’altro all’attivo, complice la crisi del dollaro che ha aumentato gli appetiti verso il metallo prezioso per eccellenza. L’idea che si fa spazio tra i partiti di maggioranza é di introdurre un’aliquota secca sulla sua rivalutazione, come già fatto per terreni e partecipazioni nella legge di bilancio dello scorso anno. Con un’intuizione che per il metallo giallo potrebbe tirare tantissimo visti i prezzi schizzati di anno in anno. All’insegna di un rally dell’oncia che assomiglia a un Giano bifronte: se da un lato conferma un business redditizio e sicuro, dall’altro costituisce anche un bel freno per chi vuole disfarsi di lingotti e monete d’oro vista l’aliquota sulla plusvalenze attualmente fissata al 26%. Prevedere un balzello del 18%, sforbiciando la tassa, potrebbe essere un bell’incentivo per chi intende vendere affidandosi alla rivalutazione.
LA RIVALUTAZIONE
In sintesi, rivalutare significa allineare tecnicamente il valore fiscale del bene di cui si dispone a quello reale di mercato. Questo consente, al momento della vendita, di calcolare la plusvalenza imponibile come differenza tra il prezzo di cessione e il nuovo valore rivalutato, anziché il costo storico originario, spesso molto più basso, nel caso dell’oro infinitamente più giù. In pratica, si anticipa una parte della tassazione – tramite un’imposta sostitutiva – ma avvalendosi di un’aliquota agevolata, che, stando ai rumors che circolano tra Palazzo Madama e via XX Settembre, potrebbe essere individuata in un 18%. Spingendo così i Paperon de’ Paperoni a vendere, tanto più che il boom di acquisti del prezioso ha sì investito come un’onda l’intera Europa, Italia compresa, ma con percentuali nazionali sensibilmente più basse rispetto al resto del Vecchio Continente. Scontare l’aliquota affidandosi alla rivalutazione potrebbe costituire un bel boost, un incentivo alla vendita, liberando risorse che fanno gola ai partiti. E che consentirebbero di sminare una serie di grane sulla via maestra della manovra. In primis, la tassa sugli affitti brevi che sia Lega che Fi vedono come fumo negli occhi: chiedono a gran voce di cancellarla, ma per farlo bisogna recuperare 138 milioni, euro più euro meno. E non è certo l’unica modifica su cui puntano i partiti di maggioranza. C’è la partita della rottamazione delle cartelle, con i leghisti in pressing per estendere la platea. Ma la pace fiscale cara a Salvini conta già su una dote di 1,5 miliardi di euro, allargare le maglie richiederebbe soldi aggiuntivi. Come nel gioco dell’oca, dunque, si torna alla casella di partenza: caccia alle risorse. Se non si trovano non c’è modo di avanzare. C’è poi l’altra incognita della tassazione sui dividendi, con Lega e azzurri che brigano per escludere le società quotate. E ancora lo sforzo in più chiesto sui libri scolastici e per le forze dell’ordine, le richieste sul payback sulla spesa ospedaliera e l’aggiustamento sul Sismabonus su cui puntano i piedi i comuni terremotati. E se è vero come è vero che la coperta è corta, allora in Parlamento toccherà ingegnarsi. “L’oro è la chiave che apre tutte le porte”, recita un antico adagio. E chissà che non apra il passaggio che condurrà alla soluzione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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