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Macron sceglie Barnier ma tutta la sinistra si sfila. Governo appeso a Le Pen


PARIGI Dopo due mesi, due Olimpiadi e sofferte consultazioni, la Francia ha finalmente un nuovo premier. Emmanuel Macron ha dato l’incarico a Michel Barnier di formare «un governo di unione al servizio dei francesi». Entrando ieri a palazzo Matignon, Barnier ha promesso soprattutto, «cambiamenti e segni di rottura» col passato. Gabriel Attal, 35 anni, il più giovane premier della République, ha passato le consegne a Barnier, che coi suoi 73 anni ha invece il record di anzianità. Sedicente «patriota ed europeo», gollista da quando aveva 14 anni, quattro volte ministro, due volte commissario europeo, grande negoziatore della Brexit, Barnier è stato l’unico nome che ha dato al presidente la speranza di poter avere un governo coi numeri per sopravvivere in un’Assemblea frantumata in undici gruppi parlamentari e tre grandi blocchi contrapposti. «Assumo l’incarico con umiltà» ha detto Barnier, promettendo di «rispondere, per quanto potremo, alle sfide, alla rabbia, alle sofferenze, al sentimento di abbandono e di ingiustizia». Tra le priorità del suo futuro governo ha citato: «Scuola, sicurezza, immigrazione, il lavoro e il potere d’acquisto». Tutti temi che dovrebbero piacere al Rassemblement National di Marine Le Pen, che ha per ora promesso una «non sfiducia» automatica, ma che invece suonano come un oltraggio alla sinistra del Nouveau Front Populaire, primo movimento in Parlamento.

LA SINISTRA

La gauche voterà unita la sfiducia al governo Barnier cui non riconosce «né legittimità politica, né legittimità repubblicana». Per il leader della France Insoumise Jean-Luc Mélenchon «ai Francesi è stata scippata l’elezione». Per il segretario del partito socialista Olivier Faure si entra «in una crisi di regime» e si inaugura una «negazione massima della democrazia». Incoraggiamenti sono arrivati da Bruxelles («congratulazioni a Barnier. So che ha a cuore gli interessi dell’Europa e della Francia» ha scritto la presidente Ursula von der Leyen), e anche dall’Italia, dove Giorgia Meloni ha lodato la «grande esperienza politica» del nuovo premier. Per ora Barnier prende le redini conservando la squadra di Attal. Per costruire il suo esecutivo e andare a cercare la fiducia — o almeno la non belligeranza — in Parlamento, dovrà dar fondo a tutte le sue proverbiali doti di negoziatore. Se ha promesso «rottura» con il metodo di governo di Macron, che in passato aveva considerato «arrogante, verticale e solitario», più sintonia con il presidente dovrebbe esserci su economia, Europa e sicurezza. Barnier non andrà nemmeno a disfare la riforma più emblematica di Macron, quella sulle pensioni. Chi lo conosce parla di un perfezionista, che non ama improvvisare, che prepara ogni singolo dossier nei particolari. Gli amici si preoccupano: «Non è pronto alla brutalità e alla violenza che ormai regna nel dibattito pubblico». «Resta calmo, caro Michel!» È il primo consiglio che gli è arrivato da un vecchio amico, l’ex presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.

OMOSESSUALITÀ E MIGRANTI

Ieri Jean-Luc Mélenchon ha subito ricordato quando Barnier votò, nel dicembre 1981, poco dopo l’arrivo all’Eliseo di Mitterrand, contro la depenalizzazione dell’omosessualità (come i suoi colleghi Chirac, Fillon, Chaban Delmas). Più di recente, tre anni fa, hanno suscitato stupore tra i moderati e tra i colleghi e amici di Bruxelles, le prese di posizione sull’immigrazione: Barnier aveva proposto una «moratoria» sull’immigrazione in Francia, la fine «della regolarizzazione incondizionata» e addirittura «un referendum» per ritrovare «la libertà di manovra rispetto alle norme europee». La ricerca del consenso Barnier l’ha imparata da piccolo, lui, figlio di una cattolica di sinistra e di un repubblicano anticlericale, diventato «visceralmente gollista». Sposato, tre figli, tiene sulla scrivania una foto di Giovanni Paolo II.

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