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l’Italia senza assi si consola con Finn


C’è stato un tempo in cui volevamo la bicicletta, ci toccava pedalare e ci piaceva, persino. Così come una volta non vivevamo senza giocare a pallone: adesso l’ultima volta che abbiamo partecipato al Mondiale di calcio risale quasi a una generazione fa e l’idea di restare fuori per la terza volta di seguito ci sembra pressoché accettabile. La storia cancella i punti cardinali e strappa le vesti agli antichi sacerdoti. Non sarà un caso se la fioritura di tennis e atletica, la nuova giovinezza della pallavolo e diverse altre felicità sparse si accompagnano alle crisi di vecchiaia dei due sport che hanno accompagnato l’Italia lungo il secolo breve e oltre, attraverso strade, stadi e bandiere spiegate.

Nel calcio, perlomeno, la Nazionale ha raccolto nel 2021 un Europeo (le feste di piazza seguenti dimostrano che le passioni originarie ancora parlano la nostra lingua), a forza di rigori, sorte favorevole, accuratezza tattica, fede che si autoalimentava. Nel ciclismo, domani in Ruanda proveremo per il diciassettesimo anno consecutivo a tornare a vincere il titolo mondiale Élite in linea. Prima si chiamava Mondiale professionisti, poi qualcosa nella chiarezza della classificazione è andato storto. L’ultimo italiano a conquistarlo è stato Alessandro Ballan, nel 2008. Non eravamo mai rimasti senza tanto a lungo, a parte il periodo dal 1932 (Binda) al 1953 (Coppi), e lì bisogna togliere le sette edizioni cancellate dalla guerra.

L’EXPLOIT

Non è stato sempre così, dunque, e auspicabilmente non sarà sempre così. Intanto ieri Lorenzo Mark Finn, neanche diciannovenne, a Kigali ha stracciato tutti. Lo aveva già fatto nel 2024 a Zurigo tra gli juniores. Lì diluviava, in Africa no. È uguale, purché l’asfalto leviti rapido: allora lui alza il fuoco e infrange record. Di lana dura, sa andare anche a cronometro. Ligure di terra e di madre, mentre il padre ha le radici a Sheffield, la città più operaia e rossa d’Inghilterra.

E va bene, dunque possiamo guardare avanti. Senza dissetarci troppo di speranza: tra gli Under 23 non abbiamo mai perso la bussola, di recente si erano imposti anche Battistella e Baroncini e sin dagli anni Novanta avevamo preso l’abbrivio con Figueras, Basso, Giordani, Chicchi. Sono i grandi, anzi, gli Élite che sembrano smarriti, Ciccone in testa e senza Pellizzari rimasto a casa. In soggezione tra i Pogacar, i van der Poel, gli Evenepoel. Pure tra altra gente con meno P e vocali distorte nel cognome.

L’evoluzione del ciclismo ci ha lasciati indietro: assenza di squadre, diluizione del talento, desertificazione delle vie provinciali in cui una volta gli amatori in bici facevano traffico. Abbondanza solo di tecnici che lavorano per la maggior gloria degli altri. Eppure subito prima che Ballan chiudesse la nostra età dell’argento Bettini aveva infilato la doppietta a Salisburgo e a Stoccarda. La stessa Stoccarda che nel 1991 aveva lanciato Bugno nel suo uno-due: la prima volta Gianni rischiò di perdere perché non vide Rooks, la seconda a Benidorm vide benissimo Jalabert e lo fece barcollare con lo spostamento d’aria.

Nel mezzo aveva vinto Cipollini; poco tempo prima Fondriest nella lotta per sopravvivere con Bauer e Criquielion; e Argentin per limpida superiorità. Siamo praticamente arrivati a quarant’anni fa. Alfredo Martini guidava l’Italia e il suo lavoro, nel quale era maestro, consisteva nel costringere o convincere una brigata di soprano — non nel senso di mafiosi da show televisivo, però la difficoltà era quella — a cantare in coro. Ci riuscì nel 1977 in Venezuela, con Saronni all’esordio che corse da mediano a rubare palla per Moser. Non ci riuscì nel 1981 a Praga, e Maertens in volata non dovette neppure abbassare le mani sulle volute del manubrio. Ci riuscì nel 1982 a Goodwood, con Saronni centravanti. Eccetera, per sei titoli in ventitré anni.

Era così dall’inizio, dal 1927 al Nürburgring, origine del Mondiale. Primo Binda, secondo Girardengo, terzo Piemontesi, quarto Belloni. Era l’Italia contro il resto del mondo. Quindi è cambiato il mondo, è cambiata l’Italia. Finn all’arrivo ha finto di scagliare una freccia e ha detto: «Ricorderò questo giorno per tutta la vita». Comprensibile. Ma pensiamo sia meglio augurare a lui e a tutti noi di non dover vivere troppo a lungo di bei ricordi.


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