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L’antisemitismo in aumento. «Atenei luoghi di pregiudizio». E Fadlun ringrazia il governo


All’ora della colazione, all’ingresso del bar dietro alla sinagoga, le mamme che non usano le chat di classe si scambiano qualche confidenza: «I bambini me lo raccontano ogni giorno, in aula si sentono isolati. Non era mai successo, ma ora anche a scuola è cambiato qualcosa». Il discorso si interrompe all’improvviso, perché in troppi ascoltano in questa mattina, in cui la piazza si riempie velocemente. I poliziotti e i carabinieri che ispezionano ogni angolo anche con i cani, le autorità e le auto di scorta, gli invitati alla cerimonia di commemorazione del 7 ottobre. C’è la fila oggi all’ingresso del ghetto ebraico: il metaldetector, il controllo dei documenti e il timore che da un momento all’altro qualcosa possa succedere. E d’altronde sono passate solo 48 ore dagli scontri di sabato: sempre a Roma, non lontano da qui. È il giorno del ricordo, di chi all’alba dell’orrore non è riuscito a scampare e di chi l’incubo del rapimento lo vive ancora, da 365 giorni esatti, nel buio e nella polvere dei tunnel, nell’abisso profondo della violenza e degli stupri, nel tunnel infinito della solitudine. Pensieri ai kibbutz devastati, alla festa dei giovani finita nel sangue, ai rapiti uccisi e testimoni degli orrori peggiori. Ma preoccupazioni per chi vive qui o non lontano da qui, per chi gli effetti dell’odio e delle guerre che si sono allargate mese dopo mese lo vive sulla pelle. Nella quotidianità, in un momento in cui il retaggio dell’antisemitismo dovrebbe essere morto e sepolto. Eppure, un anno dopo quell’alba di orrore è cambiato tutto. In Israele, nel Medio Oriente e anche su questa sponda del Mediterraneo. La storia ha fatto un’inversione di marcia, tra curve di violenza e un numero esagerato di morti. «Viviamo di fronte a un futuro incerto – dice dal microfono della sinagoga la presidente delle Comunità ebraiche d’Italia, Noemi Di Segni – Futuro incerto anche per l’Europa e l’Italia in cui viviamo, con un crescente antisemitismo multiforme, portando sulle spalle quello di secoli e secoli».

LE PAURE

Esperienze di vita vissuta, di rapporti sociali più complicati di un anno fa. Quelli che raccontano le mamme al bar ma anche i ragazzi che si mettono in fila prima di entrare alla commemorazione. «Da mesi dobbiamo gestire i rischi per la sicurezza della nostra gente – conferma dal Tempio maggiore, il capo della comunità ebraica romana. Victor Fadlun – Siamo grati a governo e forze dell’ordine che garantiscono la nostra sicurezza, consentendoci di continuare la nostra normale vita ebraica, il lavoro nelle scuole, le preghiere. La rabbia è aumentata perché in alcuni giovani i cattivi insegnamenti hanno fatto breccia. I cortei pro-Hamas e Hezbollah sono partiti da alcune Università, che da templi della cultura si sono trasformati in luoghi di pregiudizio antisemita». I rischi quotidiani, quelli di chi deve andare in giro con la scorta e di chi invece i pregiudizi o le minacce deve affrontarli in silenzio. Le cronache dell’escalation, della Striscia rasa al suolo, degli altri bambini, quelli palestinesi, morti sotto le macerie, le bombe su Beirut sono immagini che si rispecchiano a molti chilometri e inaspriscono i giudizi. «Ma Israele non voleva questa guerra, né l’ha iniziata – dice l’ambasciatore di Tel Aviv a Roma, Jonathan Peled – Ma questa non è solo la guerra di Israele: è una guerra tra barbarie e moralità, tra coloro che non condividono nessuno dei nostri valori o il rispetto per la vita umana, e coloro che santificano la vita e cercano dialogo e coesistenza. Non lasciamoci ingannare: questa è una guerra che Israele sta combattendo non solo per sé stesso, ma anche per l’Europa, per l’Italia e per l’Occidente, contro l’Islam radicale. La nostra battaglia non è contro il popolo palestinese o il popolo libanese, ma contro Hamas e Hezbollah». Sembrano giorni lontanissimi quelli dei deltaplani e delle moto che portano via i giovani che festeggiavano al rave. Le foto dei bambini rapiti sono sull’invito alla commemorazione. E la brutalità di quell’assalto piomba con potenza quando a raccontare è la zia della piccola Avigail, rimasta nelle mani dei terroristi per 51 giorni e tornata a casa dopo aver visto i genitori morire. «I fratelli si sono salvati dopo essersi nascosti in un armadio per 14 ore. Sono stati eroi, i miei nipoti: Avigail perché ha resistito tutto quel tempo nelle condizioni peggiori con i terroristi e i fratellini perché sono riusciti a salvarsi. Questa brutalità stavolta è successa a un’ora da casa mia ma potrebbe ripetersi in qualsiasi altra parte del mondo».

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