Una «grande mobilitazione pubblica» per frenare la transizione verso l’auto elettrica, rendendo meno stringenti i paletti Ue e chiedendo al governo più risorse per la riconversione industriale. La filiera dell’automotive si prepara alla battaglia contro quella che considera, per usare le parole del presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, «una furia ideologica anti-industriale» che «danneggia la competitività in tutta Europa». Ad essere nel mirino è il Green Deal e in particolare lo stop alla vendita delle auto a benzina e diesel a partire dal 2035 e l’obbligo di Euro 7 per le immatricolazioni da luglio 2025. Ma nel breve periodo, secondo Unindustria e Anfia, a pesare ancor più su un settore a «rischio crollo» sono «la produzione in calo e gli investimenti insufficienti dell’unico produttore in Italia, Stellantis». Ma anche il previsto stop alla cassa integrazione straordinaria a fine anno. Riguarda oltre 25mila persone, secondo i sindacati Fim, Fiom e Uilm. Per il presidente di Unindustria Cassino, Francesco Borgomeo, «il mancato rinnovo della cig sarà lo scacco matto, al 31 dicembre si chiudono le aziende».
Uno scenario simile, da qui al 2030, sarebbe inevitabile senza «risorse straordinarie» per la riconversione green. Entro quell’anno, secondo l’Anfia, la transizione verso l’auto elettrica può lasciare a casa dai 20 mila ai 40 mila lavoratori. Insomma, il 30% dell’attuale manodopera della filiera italiana della componentistica. Facendo perdere alle imprese del settore fino a 7 miliardi di fatturato su 58 totali (il 12%).
LE PROSPETTIVE
«Lo stop al motore endotermico previsto per il 2035 — secondo Orsini — preoccupa molto, perché c’è una filiera coinvolta di 70 mila persone». Sul tema del Green Deal, ha aggiunto Orsini, «non possiamo pensare di non essere competitivi con altre parti del mondo: ci sono temi che ci mettono in difficoltà e norme europee che fanno fughe in avanti verso altri Continenti e ci penalizzano».
A segnalare la «direzione sbagliata» sarebbe quindi, per il numero uno di Confindustria, «la chiusura di stabilimenti Audi in Belgio e Volkswagen in Germania: una cosa che non era mai successa prima e se soffre il Pil tedesco soffre l’intera Europa». Oggi in Italia, conclude, «ci sono 42 milioni di veicoli e solo 7 milioni sono a benzina o diesel Euro 6 e 7: la transizione è indispensabile, ma dobbiamo lavorare su misure a tutela dell’auto, della produzione e della filiera». Unindustria propone quindi di cambiare l’obiettivo del 2035: rendere tutto il parco auto europeo almeno Euro 6. Ipotesi che per Borgomeo «porterebbe un miglioramento enorme dal punto di vista delle emissioni, mantenendo in vita le fabbriche, che nel frattempo si orienteranno verso le tecnologie pulite». Quindi la richiesta di «nuovi centri di ricerca e sviluppo» in Europa per non dipendere dalle batterie cinesi.
Tornando alla crisi occupazionale, è vero che dalle colonnine alle nuove componenti green, tra ingegneri e manodopera riconvertita, diversi nuovi posti di lavoro possono essere creati, ma il saldo finale per Anfia sarà comunque negativo. Riducendo anche i ricavi delle professioni associate al comparto, a partire dai meccanici. Colpa, sostengono, della quantità minore di elementi dei motori ecologici rispetto a quelli endotermici e dell’impossibilità di cambiare subito il business delle centinaia di aziende che hanno tra i primi quattro prodotti in vendita quelli legati al motore a benzina o diesel. Ma potrebbe pesare anche la crescente automazione industriale.
Il governo, nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, punta a 6,6 milioni di auto green entro il 2030. Un target ambizioso per Anfia, considerando che oggi circolano circa 256mila vetture elettriche e poche più ibride plug-in. Le nuove vendite sembrano confermare un trend che non decolla, con la classe media, impoverita dall’inflazione, che non riesce a permettersi auto che non costano meno di 22-25mila euro, nel migliore dei casi (per l’usato almeno 5-6mila euro).
LE RICETTE
L’effetto degli eco-incentivi fino a 13.750 euro, partiti a giugno e ora praticamente esauriti per le auto green, si è concluso: la quota di mercato dei veicoli elettrici e ibridi ad agosto, secondo l’Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri, è scesa di quasi il 2% in un anno. E ancora, nonostante nei primi otto mesi dell’anno si registri l’1% di auto green in più (a quota 41mila), le immatricolazioni tra agosto 2023 e agosto 2024 sono crollate del 40,6%.
Ma la situazione, secondo Unimpresa, è fosca in tutta Europa. «Le case automobilistiche – sottolinea l’esperto Francesco Zirpoli dell’Università Ca’ Foscari di Venezia – con il green hanno margini di guadagno minori rispetto alle vetture a benzina o diesel e se non aumenta l’offerta i prezzi non calano: bisogna costringerle a invertire la rotta per salvare il pianeta, anche mantenendo la scadenza del 2035». «In quel caso – aggiunge però Davide Bubbico dell’Università di Salerno – servirebbe un forte piano europeo con fondi per la riconversione delle piccole e medie imprese, la riqualificazione dei pezzi prodotti e della manodopera, ma anche l’innovazione tecnologica per permettere il riciclo dei componenti e il potenziamento della mobilità pubblica sostenibile». Con queste prospettive e se non cambiassero i volumi di commesse di Stellantis, per la Rome Business School e Motus-E, il saldo dei posti di lavoro al 2030 potrebbe essere addirittura positivo per 17 mila unità, valorizzando quegli oltre 100 fornitori italiani che già puntano sul green. Ad oggi, però, sembra una prospettiva difficile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA