IL RETROSCENA
ROMA «Grazie per questo esame ai tempi supplementari. Speriamo di non finire ai rigori…». Giancarlo Giorgetti si affaccia al primo piano di Palazzo Madama a metà mattinata. Prova a smorzare la tensione dopo giorni di maretta, per non dire maremoto dentro alla maggioranza. La Manovra è quasi chiusa, con il via libera al maxi-emendamento del governo i senatori possono riprendere in mano i trolley e pensare ai regali da infilare last-minute sotto l’albero. Ma il ministro dell’Economia ci tiene nondimeno a mettere i puntini sulle i.
LO SFOGO DEL MINISTRO
Lo fa prendendo la parola davanti alla Commissione bilancio riunita per un’ultima seduta fiume. «Mi dovete scusare per quello che è successo, ho sentito diverse ricostruzioni» premette il titolare del Mef con lo sguardo al caos sulle pensioni scoppiato il giorno prima, che ha costretto Giorgia Meloni a convocare un vertice d’urgenza serale a Palazzo Chigi. Poi l’affondo a porte chiuse, riportato da più fonti al Messaggero. «Come si conviene a un ministro, mi assumo tutte le responsabilità di quello che è accaduto. Non c’entrano nulla le varie strutture. Il sale della politica è assumersi le responsabilità e non scaricarle sugli altri». Non fa nomi e cognomi il ministro lumbàrd, ma non serve fantasia per indovinare il destinatario della stoccata. Porta infatti la firma della Lega e di Matteo Salvini il blitz che ha costretto il governo a riscrivere il capitolo pensioni. E a sbianchettare tanto la stretta sul riscatto della laurea quanto le finestre mobili. Da giorni le strutture tecniche del Mef, insieme alla Ragioniera generale Daria Perrotta e al ministro, sono nel mirino del corpaccione salviniano nel Carroccio. La tensione talmente alle stelle da portare Giorgetti ad accarezzare l’idea delle dimissioni. Al Senato in mattinata il veterano leghista nega. «Alle dimissioni ci penso tutte le mattine, sarebbe la cosa più bella da fare…» scherza con un capannello di cronisti. Ma ancora una volta tiene il punto. Dentro alla Commissione Bilancio fa scudo ai tecnici di via XX settembre e dunque anche a Perrotta. «Non scarico le responsabilità, me le assumo io». Fuori difende invece i fondamentali della Manovra e i conti in ordine. Dice Giorgetti al Senato: «A me interessa il prodotto finale: crediamo di aver fatto delle cose giuste, di lavorare bene nell’interesse degli italiani».
Caso chiuso? Non proprio. Raccontano una premier molto irritata dall’incidente sulla legge di bilancio consumato all’ultimo miglio. Peraltro con un pessimo tempismo: mentre i fedelissimi del segretario leghista minacciavano di far saltare il tavolo se la stretta sulle pensioni fosse passata, Meloni fronteggiava una maratona negoziale di diciannove ore a Bruxelles sugli aiuti all’Ucraina. Dopo il vertice convocato d’emergenza venerdì sera con i vice, ieri la leader di Fratelli d’Italia ha ripreso in mano il telefono. Una telefonata a Salvini per assicurarsi di aver chiuso il caso pensioni. Toni schiettissimi e un avviso perentorio: ora basta polemiche. Ma riferiscono anche di contatti con altri ministri e il leit-motiv è sempre lo stesso: la Manovra è questa e se qualcuna delle vostre richieste è rimasta fuori troveremo il modo di inserirle in un provvedimento ad hoc. Reggerà la tregua di Natale? A Palazzo Chigi sono convinti di sì. Certo le scorie rimangono. Come le rivendicazioni e gli umori ballerini dentro al centrodestra per una Manovra prudente, quando manca poco più di un anno al test delle Politiche.
STOP AL CONDONO
Da un lato la Lega e i rapporti non proprio idilliaci, in questa fase, tra il suo leader e il ministro dell’Economia. Durante il vertice di venerdì sera i due non si sono quasi rivolti la parola. All’indomani fonti leghiste fanno trapelare i veri umori della truppa sulla finanziaria appena licenziata. «Ben vengano le agenzie di rating, ma per noi vengono prima gli elettori» annota una primissima fila del partito di via Bellerio. E ancora: «La Lega è stata votata per salvare le pensioni, non per peggiorare la legge Fornero». Ma a smuovere gli animi della maggioranza non c’è solo la Lega. Ieri anche Fratelli d’Italia si è presa i riflettori al Senato. Con un blitz la pattuglia meloniana ha ripresentato come emendamento alla Manovra la riapertura dei termini della sanatoria del 2003. Ovvero il “condono” proposto dal candidato alla Regione Campania di FdI Edmondo Cirielli finito già all’epoca al centro di un putiferio. Di fronte al muro delle opposizioni, con la minaccia di bloccare i lavori della Commissione Bilancio, è arrivata infine la marcia indietro: l’emendamento è stato declassato a ordine del giorno. «Il condoncino last minute è il loro Piano Casa?» affonda il colpo il senatore dem Filippo Sensi. Contro la terza legge di bilancio targata Meloni si scagliano i Cinque Stelle con Chiara Appendino: «Un film horror: regista un governo di incapaci totali, divisi su tutto che sanno solo obbedire ai poteri forti».
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