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la legge per evitare sanzioni europee


Chiudere bene, chiudere in fretta. Alla fine anche Giorgia Meloni si è convinta: l’Italia non può più seguire i pasdaran anti-Bolkestein e, a meno di nuovi colpi di scena, è in arrivo la legge quadro che porterà all’adozione della normativa Ue. Come anticipato sarà all’interno del Dl Salva-infrazioni che andrà in Consiglio dei ministri nei prossimi giorni. Con buona probabilità non domani, anche per evitare di sovrapporre il tema alla nomina di Raffaele Fitto a candidato italiano per un posto nella seconda Commissione europea a guida Ursula von der Leyen. È lo stesso Fitto infatti, in qualità di ministro per gli Affari Ue, che sta portando avanti in queste settimane un negoziato sottotraccia.

Per di più, prima di poter mettere nero su bianco una versione definitiva dell’intesa con Bruxelles, Meloni vuole accertarsi con Antonio Tajani e Matteo Salvini che non vi siano in Parlamento colpi di coda dell’ala anti-bolkestein che è corposa in tutti i partiti. Prima di lasciare che il nome buono di palazzo Chigi per Rue de Berlaymont ci metta la faccia, la premier vuole insomma delle rassicurazioni dagli alleati. Timori, quelli di Meloni, comprensibili. Anche di fronte alla minaccia di un deferimento davanti alla Corte di Giustizia europea per non aver applicato la normativa Bolkestein, una fetta della maggioranza continua a scommettere sulla possibilità di tirarla per le lunghe. E cioè di traccheggiare ancora per un altro mese nella speranza che all’insediamento della prossima Commissione (che dovrebbe esserci più o meno a novembre), a Bruxelles il vento sia lievemente cambiato e gonfi le vele di chi si oppone all’applicazione della normativa. Una possibilità che, a sentire alcuni degli ufficiali di collegamento che operano tra l’Italia e l’Ue, sarebbe in realtà piuttosto remota. In primo luogo perché l’assetto della squadra di governo, sul punto, pare destinato a non spostarsi più di tanto (con Thierry Breton ancora al suo posto). E in seconda istanza perché si tratta di «materia squisitamente tecnica» in cui la capacità di mediazione politica rischia di scivolare nelle retrovie.

Una situazione che avrebbe spinto il pur conciliante Fitto a sbattere più volte i pugni sul tavolo rifiutandosi di sottoporre alla Commissione delle soluzioni che sono già informalmente state indicate come irricevibili. Non per una questione di principio — non solo quanto meno — ma per una motivazione piuttosto semplice: una nuova bocciatura rischia di accelerare il lento percorso che porta ad una nuova procedura di infrazione nei confronti dell’Italia.

Meloni: «Sono tornata». Trattativa con Bruxelles per Fitto vicepresidente: lungo colloquio con il ministro

IL DIALOGO

Se è vero che il dialogo nero su bianco tra Roma e Bruxelles è stato infatti interrotto a gennaio scorso cedendo il passo a trattative sotto traccia, lo è pure che bollinare una nuova proposta inaccettabile dal punto di vista dell’Unione europea, vorrebbe dire porre la parola fine su qualunque tentativo di mediazione. Ovvero, data la probabile condanna, l’Italia finirebbe con il dover accettare capestro l’applicazione della normativa, seguendo pedissequamente le indicazioni della Corte di Giustizia europea. Per di più con il peso di centinaia di milioni di euro di ammenda e indisponendo il Quirinale che già si è esposto in maniera piuttosto eloquente sulla necessità di un intervento. Uno scenario che al di là delle resistenze di alcuni, assieme al far west normativo che già va aprendosi dopo le sentenze di Tar e Consiglio di Stato, ha smosso la volontà di Giorgia Meloni. Ed è su questo binario che le trattative procedono, con Roma in attesa di capire quali siano realmente i margini lasciati da Bruxelles sugli indennizzi e su eventuali mini-proroghe circoscritte.

 Le linee guida per una conciliazione insomma ci sarebbero, e prevedono risarcimenti per le proprietà uscenti calibrati sui fatturati e riconoscimenti degli investimenti fatti basati su perizie asseverate. Al massimo, solo per alcuni casi specifici, lo slittamento dell’avvio delle gare per riassegnare le concessioni scadute a fine 2024. Una ricetta con cui si potrebbe porre finalmente fine ad un’impasse iniziata ormai più di quindici anni fa e che già da qualche mese sta portando ad un veloce aumento del conto delle decine e decine di amministratori locali che stanno applicando già la direttiva europea per timore di costosi ricorsi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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