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«Il Sì cambia la giustizia. La manovra? Ci vuole coraggio a dire che favorisce i ricchi»


È qui per restare. Oltre il referendum sulla giustizia che le opposizioni puntano a trasformare in un grande redde rationem sul governo. «A casa possono mandarmi solo gli italiani». Giorgia Meloni sale di decibel dal palco del Teatro Team di Bari. Siamo al comizio finale del centrodestra per le Regionali del 23 e 24 novembre. E la premier coglie l’occasione per disinnescare la campagna referendaria sulla riforma delle toghe in primavera. Non sarà un plebiscito sulla sua persona, come è successo a Matteo Renzi nove anni fa, mette in chiaro. «A sinistra cosa dicono? “Votate no al referendum per mandare a casa la Meloni”. Ma, signori, mettetevi l’anima in pace: la Meloni, insieme al governo, arriverà alla fine della legislatura e poi chiederà agli italiani di essere giudicata sul totale del proprio lavoro».

I BERSAGLI

Le toghe, la Cgil, la sinistra e i tecnici. Meloni sceglie con cura i suoi bersagli davanti a duemila militanti assiepati in platea. Torna a prendersela con Maurizio Landini e rimette nel mirino lo sciopero generale contro la Manovra convocato il 12 dicembre: «Il settimo in tre anni, sempre di venerdì. Non sia mai che la rivoluzione la facciamo di martedì..». Bandiere in aria e ovazioni. Servono a tirare la volata a Luigi Lobuono, l’imprenditore lanciato dal centrodestra contro la corazzata di Antonio Decaro, l’ex sindaco del capoluogo pugliese forte di mezzo milione di preferenze alle Europee, speranza granitica del campo largo a guida Pd-Cinque Stelle. Sfida tutta in salita per il centrodestra, a scorrere i sondaggi. Ma non è persa in partenza, arringa i suoi la premier. «Non ci sono risultati scritti in partenza, non ci sono destini scritti». Uno ad uno i leader della coalizione si alternano sul palco, le pareti del teatro tappezzate di cartelloni di spettacoli andati e futuri: Tullio Solenghi, cori Gospel, tribute band per i Queen e i Beatles, foto di Gigi Proietti, Ligabue e Paolo Conte. Precedono la leader. Parte Lobuono, tra baci scoccati alla folla e mani giunte al cielo, come gli attori a fine show. «La sinistra in Puglia ha dimenticato i più fragili, ce ne faremo carico noi». Ma la Puglia, qui, resta sullo sfondo. L’applausometro premia Matteo Salvini. «E il Ponteee?» urla dalle gallerie un leghista infervorato. «Il Ponte? Darà lavoro a tanti ragazzi pugliesi…se me lo fanno fare». Legittima difesa, pace fiscale, scuole «libere dall’ideologia», il “Capitano” cala le sue carte. E il jolly è lo stesso di sempre: l’immigrazione. Inneggia al movimento “Remigration”, il trumpismo 2.0 che in Europa fa proseliti a destra e propone di deportare i migranti irregolari. «Non rispetti la nostra storia e la nostra Costituzione? Allora fuori dalle pal-le» grida Salvini incassando la standing ovation del pubblico barese. Maurizio Lupi canzona la sinistra: «Governano in Puglia da vent’anni e dicono che serve un cambiamento radicale..». Antonio Tajani inizia così. «Siete tantissimi, avremmo riempito il San Paolo!». È lo stadio di Napoli. «San Nicola!!» lo correggono i baresi. Lapsus che capitano, in una campagna elettorale da cardiopalma che venerdì prossimo fa tappa proprio nel capoluogo campano. Riecco la Cgil nel mirino, «vuole Landini futuro segretario del Partito democratico» affonda il leader azzurro. Per poi difendere la Manovra “massacrata” (copyright Giorgetti) da Bankitalia, Ufficio parlamentare di bilancio e Corte dei Conti: «Noi non vogliamo che il ceto medio diventi ceto povero» dice Tajani rivendicando il taglio dell’Irpef. È il terreno scelto da Meloni per la parte clou dell’arringa barese. Quando si parla di conti la sinistra «ha il pallottoliere rotto». Lei invece tira fuori la calcolatrice. Sciorina numeri: i fondi extra per la Sanità, le prestazioni sanitarie aumentate dopo la legge sulle liste d’attesa, il taglio alle tasse a «chi guadagna 2400 euro al mese e magari ha tre figli a carico, noi vogliamo aiutarli». E se la sinistra la accusa di una “Manovrina” da 18,7 miliardi, la replica della premier suona così: sarebbe stata una “Manovrona” senza «40 miliardi di euro l’anno che dobbiamo pagare a causa del superbonus di Conte». Fra le righe, una stoccata alle manine “tecniche” che hanno colpito nei giorni scorsi la sua quarta finanziaria. «Una manovra per ricchi? Ci vuole coraggio per dire cose del genere».

SINISTRA E MAKE-UP

È un crescendo. Fino alla sfida sulla giustizia. «Liberiamo i magistrati dal giogo delle correnti politicizzate. Vogliamo una magistratura che non sia governata da nessuno, libera». Guai però a politicizzare troppo l’appuntamento. «Votate in base al contenuto della riforma». C’è tempo per uno sfogo personale. «Un filosofo l’altra sera in tv diceva che io vinco perché quelli che si occupano del mio makeup sono bravissimi. In pratica voi mi votate perché sono truccata bene. Al netto del fatto che io mi trucco da sola e manco così bene, vi rendete conto di quanto sono superficiali le letture di questi intellettuali da salotto? La sinistra non ascolta il popolo». Sotto palco la fedelissima segretaria Patrizia Scurti le fa cenno che è ora. La premier annuisce. «Ragazzi, scusate: mi parte l’aereo». Selfie di gruppo e via con il corteo all’aeroporto.


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