La vita, in fondo, sa alternare graffi di spettri e carezze di fate. A qualche predestinato, poi, è data la possibilità di diventare il supereroe della porta accanto. Nel nostro caso, una ragazza che mantiene un sorriso gentile anche se ha imparato a volare sulle piste conquistando il mondo, e non solo quello paralimpico. A 23 anni, Ambra Sabatini — stella livornese dell’atletica azzurra — è proprio questo. E se non ci credete, ascoltate la sua storia.
Ambra, ci racconta di quando incontrò i robot?
Ride. «L’anno dopo l’incidente che aveva portato all’amputazione della gamba, in estate andai a lavorare a una colonia estiva per sfruttare il mio diploma da bagnina. Perciò stavo con i bambini, che ovviamente erano incuriositi dalla mia protesi. Così raccontai come un giorno avessi incontrato un robot che, dopo aver visto la mia gamba, volle fare uno scambio con la sua, che aveva dei poteri speciali. I bimbi impazzirono e non la finivano di farmi domande. Bellissimo».
Ci racconta invece di quando incontrò il dolore?
«Era il 2019, ma sembra passato tanto tempo, anche perché nel frattempo sono accadute un mucchio di cose belle. Ricordo soprattutto l’impazienza per ritornare alla mia vita di tutti i giorni studiando ogni tipo di protesi in commercio».
Ha mai conosciuto chi ha investito lo scooter su cui viaggiava con suo padre?
«No, non ho mai ottenuto scuse, ma non le ho mai desiderate. Il pensiero, anzi, a volte mi va a quelli che causano gli incidenti. Se mi chiedessero di scegliere fra essere investita o investire, giuro che preferirei restare dalla mia parte».
Ha almeno avuto pieno risarcimento?
«Diciamo in misura normale, perché niente può risarcire ciò che si è perso».
In moto va ancora?
«Certo, e anche in bicicletta. Anzi, a volte mi lancio per certe discese…».
Oltre all’oro olimpico di Tokyo nei cento metri e al record mondiale nella sua categoria, a darle notorietà è stata la sfortuna finale dei Giochi di Parigi, quando cadde a pochi passi dall’oro. Cosa successe?
«Un insieme di cose. A un mese e mezzo dalla gara prima ebbi un brutto infortunio, poi contrassi una strana forma di Covid, che mi lasciò una tosse così forte da rompermi due costole e anche l’asma. Così dopo la ripresa aveva perso un po’ di sicurezza. Infine la mattina della finale ho avuto una problema alla valvola della protesi, messa a posto col silicone solo nella “sala di chiamata”. Può immaginare il panico. Avevo addosso rabbia e forse ho voluto forzare mentre stavo già andando benissimo. La protesi, poi, ha risposto in modo strano ed è andata così».
Se non fosse caduta, avrebbe vinto?
«Sì».
La vittoria di pochi giorni fa ai Mondiali di Nuova Delhi è una rivincita o solo l’antipasto in vista dei Giochi di Los Angeles?
«Per me una rivincita. Avevo solo bisogno di tornare in un grande evento».
Lo scorso anno è uscito un bel docufilm su di lei, “A un metro dal traguardo”. È stato emozionante come fare la portabandiera all’Olimpiade?
«Due emozioni diverse. A Parigi fu bellissimo anche perché c’era il presidente Mattarella, ma al documentario tengo tanto perché hanno avuto raccontare la mia storia in modo eccellente. Lo sport non è solo vincere medaglie».
Chi è stato il più grande atleta paralimpico di tutti i tempi?
«Alex Zanardi. Purtroppo non ho avuto la fortuna di incontrarlo, ma la motivazione che mi ha acceso dentro anche quando ero in ospedale è stata tanta. Ricordo che mi mandò un video in cui mi disse: ”Stai tranquilla. Quando ritornerai, non avrai neppure il tempo per fare tutto quello che potrai”. Aveva ragione».
C’è un nuovo presidente alla guida del Comitato Italiano Paralimpico, Marco Giunio De Sanctis: nota già cambiamenti?
«Io sono nel Consiglio e vedo molta motivazione nel crescere. Sembra che ci sia più collaborazione con il Coni. Credo che si stia andando nella direzione giusta».
Le capita di invidiare atlete di altre nazioni?
«Sì, tantissimo. Ci sono le olandesi che vanno in raduno invernale a Tenerife o in Sudafrica, come fanno i normodotati. All’estero, poi, partecipano ai meeting più grandi, mentre in Italia purtroppo a livello paralimpico non facciamo inviti all’estero. Non dico in altri continenti, ma almeno in Europa occorrerebbe farlo. Il mio sogno sarebbe che le federazioni collaborassero per organizzare i centro metri al prossimo Golden Gala di Roma».
Come se la cava con il ballo?
«Sono tremenda, e non è colpa della protesi».
Essere campionesse aiuta in amore?
«Non tanto. C’è ancora una cultura in cui i ragazzi si sentono intimoriti da una figura femminile forte a livello sportivo».
Ma lei si è liberata dai complessi per la disabilità?
«Non li ho mai avuti. Ho visto sempre le protesi come un elemento che mi rendeva speciale. Anzi, se può servire ad allontanare qualche testa di cavolo, va benissimo».
Parteciperebbe a “Temptation Island” o al “Grande Fratello”?
«Non fa per me, ma Monica Contraffatto (altra azzurra, ndr) sarebbe perfetta».
Bebe Vio ha conosciuto Obama, a lei piacerebbe conoscere Trump?
«No, me lo risparmio volentieri».
La Russia non può partecipare ai Giochi per via dell’aggressione all’Ucraina: giusto?
«È giusto impedirlo ai Paesi che sono in guerra. Ma non si può colpire solo la Russia, occorre farlo con tutti»,
Lo farebbe anche con Israele?
«Tutti quelli che creano guerre e fanno genocidi. Lo sappiamo chi sono. Non c’è bisogno di fare nomi».
Se potesse tornare a una vita come prima dell’incidente, rinunciando però alla disabilità e a tutti i successi ottenuti, accetterebbe?
«Non baratterei mai nessun cambio di direzione della mia vita. Anzi, fosse per me, abbandonerai la narrazione del mondo paralimpico parlando delle storie private. Si farà un passo in avanti quando non ci sarà più il desiderio di conoscere gli incidenti. Certo, la curiosità è normale, ma non dovrebbe essere l’elemento principale dei racconti su di noi, non crede?». Parole da supereroe. O forse solo da ragazza speciale che un giorno consegnò il suo destino a una fata stravagante.
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