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Giustizia, via libera alle carriere separate. Meloni: «Voto storico»


Baci, abbracci, pacche sulle spalle. E poi grida, applausi, cori di giubilo a destra e di protesta a sinistra: «Vergogna», «no ai pieni poteri». L’euforia sui banchi del governo esplode dopo mezzogiorno, quando dall’aula del Senato arriva l’ultimo via libera alla riforma della giustizia targata Nordio-Meloni. Semaforo verde, per la quarta volta, al testo che modifica la Costituzione, prevedendo la separazione delle carriere tra giudici e pm e la creazione di due Csm eletti tramite sorteggio. È una svolta, il «sogno» di Silvio Berlusconi a cui Forza Italia dedica il voto. Ma è anche la prima delle riforme costituzionali immaginate da Giorgia Meloni a vedere la luce – e chissà se resterà l’unica – sulla quale ora si attende il responso delle urne, col referendum confermativo che per il guardasigilli Nordio dovrebbe essere convocato «tra marzo e aprile».E che potrebbe apporre il sigillo a un progetto a cui il centrodestra italiano lavora da tre decenni.

E infatti esulta la premier, salutando la giornata come un «traguardo storico»: «Un passo importante verso un sistema più efficiente ed equilibrato», scrive sui social Giorgia Meloni. Poi a sera, ai microfoni del Tg1, assicura: comunque andrà la consultazione «non ci saranno o conseguenze per il governo. Arriveremo alla fine della legislatura e chiederemo agli italiani di essere giudicati per il lavoro fatto».

STANDING OVATION

Protestano, intanto, Pd, 5Stelle e Avs, che vedono nella riforma un tentativo di minare l’indipendenza della magistratura. E che al momento del via libera di Palazzo Madama (con 112 i sì, 59 i no e nove astenuti) alzano i cartelli con su scritto un grande «No ai pieni poteri». «È una giornata che la Repubblica ricorderà», ammonisce dal Pd Francesco Boccia. Mentre dagli spalti della maggioranza va in scena la standing ovation, con gli eletti del centrodestra che fanno a gara per strappare un selfie con l’uomo del giorno, il ministro Nordio.

Un finale già scritto di un dibattito che a Palazzo Madama scivola via in meno di due ore. E che proprio per via dell’esito scontato non regala colpi di scena. Con il centrosinistra che denuncia la «protervia» della maggioranza accusata di aver «umiliato» il Parlamento, perché il testo del ddl è uscito dalle aule identico a come vi era entrato, senza aperture a modifiche: «Un iter senza precedenti», attacca il dem Andrea Giorgis. Critiche che il centrodestra rispedisce al mittente: «Non è una riforma contro la magistratura ma che riporta le cose nel solco della Costituzione», mette a verbale Mariastella Gelmini, Noi moderati, mentre per Lucio Malan (FdI) le nuove regole per eleggere il Csm aiuteranno a rendere «indipendenti i magistrati dalle correnti». Un punto su cui insiste anche la premier: il sorteggio, per Meloni, «significa liberare la magistratura dalle correnti politicizzate e quindi valorizzare il merito». Mentre la separazione delle carriere «rafforzerà la terzietà del giudice» portando a «un processo più giusto». E con l’Alta corte disciplinare – insiste la premier al Tg1 – «quando un giudice dovesse sbagliare se ne assumerà finalmente la responsabilità».

A Palazzo Madama però Meloni e i suoi vice non si fanno vedere, impegnati in un vertice a Palazzo Chigi. Così la scena se la prende Nordio. Che chiede di non politicizzare il referendum («spero in una discussione pacata») e si dice «pronto» al confronto tv con l’Anm, il sindacato delle toghe già sul piede di guerra. «Non ricordo una volta in cui l’Anm sia stata favorevole a qualsiasi riforma della giustizia», sferza a sera Meloni.

LO SCONTRO

La accusano di volere «le mani libere», le opposizioni. Ma l’aula del Senato si accende davvero solo durante l’intervento di Roberto Scarpinato, 5Stelle: «Gli italiani non credono alla panzana che Berlusconi, Dell’Utri, Previti, Cosentino e Formigoni erano fiori di giglio e sono stati condannati da una magistratura politicizzata». E gli scranni di Forza Italia esplodono in un coro di «buuu», tra gli strali di Maurizio Gasparri e le grida di Licia Ronzulli.

Dopo il voto gli azzurri convocano un flash mob in piazza Navona, sventolando bandiere e uno stendardo con la gigantografia di Berlusconi. La cui primogenita Marina plaude al sì alla riforma: «Ci sono vittorie che arrivano tardi, forse troppo tardi, ma che restano grandi e decisive – dice la presidente di Fininvest – Quella di oggi è la vittoria di mio padre». Una “paternità” della riforma riconosciuta pure dal dem Filippo Sensi, che durante la discussione butta giù una vignetta con l’effigie del Cavaliere, sopra la scritta: «Rieccomi».


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