Parte la corsa per il “sì” e per il “no”. Dopo mesi di dibattito parlamentare, con l’approvazione in quarta e ultima lettura al Senato della riforma sulla separazione delle carriere, la partita della riforma costituzionale della Giustizia si sposta ora sul confronto. Le date cerchiate in rosso sono quelle immediatamente successive a Pasqua, tra aprile e maggio 2026, scandiscono l’avvio del countdown che vedrà i comitati referendari impegnati in una lunga campagna per il referendum confermativo — senza quorum — anche attraverso il coinvolgimento di volti noti. La riforma, targata Carlo Nordio, prevede la separazione tra giudici e pubblici ministeri, con l’istituzione di due Csm distinti e dell’Alta Corte Disciplinare, introducendo per la prima volta il principio dell’elezione a sorte. La posta in gioco è alta: qualora la riforma superasse positivamente anche il referendum, circa 2.200 pm verrebbero sganciati dai vecchi assetti. Un’ipotesi che divide profondamente la politica italiana — e non solo. Da un lato, la maggioranza spinge e si prepara ad accelerare sui comitati referendari nel nome di Silvio Berlusconi, essendo una riforma da sempre cara al Cavaliere, per una magistratura “più libera”. “Noi saremo i primi a promuoverlo”, promette l’azzurro Maurizio Gasparri. Forza Italia preme sull’acceleratore individuando nelle figure del deputato Enrico Costa e del senatore Pierantonio Zanettin come i referenti per i comitati del sì. Per richiedere la consultazione popolare nel modo più veloce possibile, la maggioranza intende raccogliere le firme di un quinto dei parlamentari di una Camera. Non è tuttavia escluso che — per rafforzare la campagna – siano percorse altre strade come quelle dei banchetti per la sottoscrizione da parte di cinquecentomila elettori o la richiesta di cinque consigli regionali.
Ipotesi che, però, deve ancora essere valutata dai leader del centrodestra. Proprio Fratelli d’Italia, memore dell’esperienza di Matteo Renzi, è determinata a non personalizzare troppo la consultazione, anche perché è stato più volte chiarito che, in caso di esito negativo, nessuno nel governo rimetterà il proprio incarico. Lo ribadisce subito il meloniano Giovanni Donzelli: “Noi non chiederemo mai un voto sulla Meloni, noi chiederemo agli italiani, anche a quelli che hanno in antipatia Meloni, di valutare se la giustizia va bene così com’è o va riformata.”
Dall’altro lato, le opposizioni non resteranno a guardare. Proprio come nel precedente referendum, Pd, M5S e Avs faranno fronte comune per il no. Fanno sapere che anche loro raccoglieranno le firme per indire il referendum, dando vita a una “grande mobilitazione” contro l’approvazione della riforma. “Vogliono mettere sotto controllo la magistratura, siamo convinti che non vinceranno”, afferma il verde Angelo Bonelli. Sulla stessa linea si schiera anche l’Associazione Nazionale Magistrati (Anm): “Non sono pessimista sul risultato”, dichiara il presidente Cesare Parodi, che in un’intervista parla anche della possibilità di dimettersi in caso di vittoria dei sì: “Considerare questa possibilità è doveroso e dovuto.”
A suo avviso, l’esito del referendum “dipenderà anche da fattori svincolati dal contenuto. Se dovessero emergere critiche su condotte di magistrati, concreti dubbi su comportamenti negativi, potrebbero portare maggiore consenso alla riforma”. Secondo i pronostici, una campagna sugli errori giudiziari e sulla degenerazione correntizia potrebbe rivelarsi più efficace di quella del centrodestra, soprattutto grazie alla possibilità di discesa in campo di volti noti. Tra i nomi circolano quelli di Gaia Tortora — che però smentisce, pur non sostenendo la riforma — e di Sigfrido Ranucci, possibile “capitano” della campagna e anche quella di dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che, tirato in ballo, ha chiarito che pur essendo favorevole alla separazione delle carriere “non intendo impegnarmi per il referendum per questo o quel partito”. Una scelta, quella dell’Anm che però non è passata inosservata alla maggioranza. Proprio il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto ha dichiarato che “ i comitati referendari hanno una caratterizzazione politica e allora io ritengo che l’Anm sia andata oltre”. E ha aggiunto “il magistrato non deve soltanto essere terzo e imparziale, ma deve anche apparire tale” e per questo che “credo che oggi l’Anm corra il rischio, tutto autoreferenziale, di smarrire proprio questi principi. Le manifestazioni Anm degli ultimi giorni, con la partecipazione di figure come Ranucci, Bennato e Mannoia, danno l’idea di un coinvolgimento politico esplicito della magistratura associata, di una sua chiara sintonia con l’opposizione a questo governo. Oggi, il Pd e l’ Anm sembrano sulla stessa linea, e questo non va bene. Perché, per principi normativi e deontologici consolidati, la magistratura deve restare autonoma e indipendente da ogni forma di schieramento” ha concluso.
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