ROMA Sulla carta è un esordio in piena regola. Nei fatti, però, ha tutta l’aria di un ritorno dal sapore di test politico. Giorgia Meloni si prepara a salire per la prima volta sul palco del Meeting di Rimini nei panni di presidente del Consiglio. Lo aveva già fatto tre anni fa, da leader di Fratelli d’Italia, alla vigilia di quelle elezioni che ne avrebbero sancito l’affermazione su scala nazionale. Il pensiero, alla notizia della presenza della premier per la chiusura dell’evento di Comunione e liberazione — il 27 agosto — torna proprio a quei giorni lì. Alla foto scattata sotto l’ombrellone con (quasi) tutti i leader al completo — presente Enrico Letta del Pd, ma non Giuseppe Conte per il M5S — che si sarebbero confrontati sul palco, e a quel «Giorgia, Giorgia» intonato dalla platea ciellina al momento dell’entrata in sala di Meloni. Tre anni dopo, superato il giro di boa della legislatura — di mezzo due conflitti, una crisi commerciale causata dai dazi innescati oltreoceano — la domanda è quale accoglienza il popolo cattolico di Cl riserverà alla premier in carica. Ma non si tratterà solo di un’occasione per misurare il polso della temperatura politica del paese. Il palco del Meeting, per l’inquilina di Palazzo Chigi, potrebbe essere il luogo adatto per rinsaldare le fila in prossimità delle elezioni regionali alle porte — in testa le Marche a settembre — e anche per mettere su i primi mattoncini in vista delle politiche.
PARALLELISMI E NON
Ironia della sorte, dopo due anni di assenza dal palco di Rimini, come per Meloni, tornerà sul palco anche Mario Draghi. Che proprio da Rimini aveva chiuso la sua esperienza alla guida di governo. Quest’anno aprirà la kermesse, il 22, con un panel dal titolo: «Quale orizzonte per l’Europa?». Di mercato europeo e rilancio dello sviluppo parlerà, invece, Enrico Letta. Quanto ai leader d’opposizione, non si replicherà il modello del 2022: niente confronti diretti sul palco — eccezione dipesa dalla prossimità delle urne — e niente inviti in qualità di capi di partito. Nel lungo elenco di invitati si sussegue una sfilza di alte cariche istituzionali: ministri, sottosegretari ed alti funzionari. Fanno eccezione i membri dell’intergruppo parlamentare sulla sussidiarietà — in testa Maurizio Lupi di Noi moderati — che presenzieranno all’evento. Insomma, né per Elly Schlein, né per Giuseppe Conte, si porrà il dubbio, tutto morettiano, se decidere di andare oppure no, né tantomeno l’incognita dell’applausometro, che non risparmia, da anni, nessun oratore del Meeting. Ci saranno, invece, i due vicepremier. Antonio Tajani, che dialogherà anche con Hanna Jallouf, arcivescovo di Aleppo, in merito alla presenza della comunità cristiana in Siria e la libertà religiosa. E poi Matteo Salvini, nel panel “Luoghi da costruire e vie per raggungerle”. Spazio poi ai presidenti di Regione e agli amministratori locali: di autonomia del territorio parlerà il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, insieme, con i governatori di Umbria e Calabria, Stefania Proietti e Roberto Occhiuto. Sulle “frontiere dell’Adriatico”, confronto aperto tra il presidente della Puglia, Michele Emiliano e quello del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga.
LA PRESENTAZIONE
Di certo, ha garantito ieri il presidente del Meeting di Rimini, Bernhard Scholz, durante la presentazione dell’evento alla stampa, alla presenza della ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, non si tratterà «né di una vetrina e né di una passerella della politica come tanti dicono, ma di un luogo di dialogo dove ci si ascolta». Fil rouge dell’edizione, una frase tratta dai Cori da “La Rocca” di T.S. Eliot: «Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi». Nei tanti deserti che attraversano il mondo — violenze, guerre, solitudini esistenziali, disagio giovanile — l’imperativo, valido anche per la politica, di costruire .
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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