Produzioni diverse ma è identico il grido d’allarme. Le industrie dell’acciaio, della ceramica o della chimica — per non parlare della logistica con gli operatori marittimi in testa — lo ripetono come una cantilena: le tassazioni europee in materia ambientale rischiano di mettere in ginocchio questi settori, riducendo investimenti, quindi l’innovazione, e aumentando la concorrenza di Paesi che non sono soggetti a questi oneri. Nelle discussioni di politica industriale hanno sempre più spazio sigle come l’Ets, il sistema di scambio sulle quote di emissioni di CO2, Cbam, con i suoi maggiori oneri sulle merci extra Ue a maggiore intensità di carbonio, fino all’Etd (Energy Taxation Directive), che potrebbe far schizzare i prezzi del gas. Con effetti deleteri in un’Italia dove il “green tax spread”, ha calcolato Confartigianato, fa già spendere ai famiglie e imprese attraverso le varie forme di tassazione ambientale 11,1 miliardi in più rispetto agli altri Paesi dell’Eurozona.
Proprio per questo Giancarlo Giorgetti ha annunciato che giovedì all’Ecofin sarà battaglia sulla direttiva Ue sulla tassazione dell’energia. Con il ministro dell’Economia «costretto» a difendere un sistema produttivo come il nostro legato a doppio filo al gas e che — tra manifattura e produzione di elettricità — ha consumato il 63 per cento dei 61,8 miliardi di metri cubi utilizzati nel 2024. La nuova normativa porta verso nuovi rincari del prezzo del metano. Bollette domestiche comprese, l’Energy Taxation Directive, potrebbe trasferire sul medio e lungo termine a imprese e famiglie extracosti per 25 miliardi nel suo tentativo di armonizzare gli oneri sull’elettricità e quelli sul gas. Senza dimenticare il tentativo di tagliare gli incentivi agli energivori sulle fonti fossili.
GLI ARMATORI
In questo scenario di guerra tra produttori (non solo italiani) e le burocrazie di Bruxelles non si possono tralasciare gli effetti dell’Emission Trading System. In poche parole, il sistema europeo di scambio di quote di emissione impone alle aziende, che se superano i tetti sui gas serra, di comprare quote di emissioni da imprese più virtuose. Anche fuori dall’Europa. Una mazzata per gli «energivori». Nella versione base — quindi applicato a industria pesante, produttori di energia, carrier trasportistici — è già costata alle nostre imprese 8 miliardi in più. Nella forma aggiornata — il cosiddetto Et2 esteso anche al trasporto su strada e al riscaldamento degli edifici che dovrebbe slittare al 2028 — l’ulteriore aggravio è di altri 9 miliardi. Di questi un paio saranno scaricati sulle bollette.
In attesa che l’Emission Trading System si trasferisca anche al trasporto su gomma, quello marittimo ha versato 310 milioni nel 2024. Ha in parte attutito i contraccolpi grazie al combinato disposto tra esenzioni sull’acquisto di quote e una vantaggiosa tassazione interna in materia di Iva. In caso contrario, rischia di dover sborsare 3 miliardi all’anno. Stefano Messina, presidente di Assarmatori, ha sottolineato «l’oltranzismo ambientale della Commissione europea e di alcuni Stati Membri del Nord Europa ha a lungo rischiato di mettere in ginocchio anche il nostro settore, già drammaticamente provato dalle altre normative ambientali, in primis l’Ets».
L’ACCIAIO
Intanto ieri la premier Giorgia Meloni — in un messaggio all’Assemblea di Federacciai — ha ricordato che è «prioritario rivedere il Cbam che, nella sua concreta applicazione, si è rivelato dannoso per l’industria siderurgica e un incentivo alle delocalizzazioni». Nato per colpire le produzioni extraeuropee a maggiore intensità di carbonio, il Carbon Border Adjustment Mechanism ha finito per aumentare i costi per gli adempimenti burocratici a carico delle aziende del Vecchio Continente. Le stesse che dall’anno prossimo rischiano di vedere annullate le quote gratuite per i certificati Ets: solo l’acciaio e l’alluminio rischiano — senza una nuova moratoria — un 15 per cento in più nei costi di approvvigionamento.
Intanto il sistema di quote di emissioni costerà alla sola siderurgia quasi 30 miliardi in più. Non a caso ieri, il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, ha definito l’Ets «un dazio». Per questo ha chiesto di «rivedere tempestivamente l’intera disciplina» così come le storture del Cbam. Anche per superare quella «regolamentazione ideologica ed estremista dell’Unione, che ha invece contribuito in maniera determinante alla perdita di competitività e di quote di mercato di molti settori dell’industria europea senza aver acquisito alcun vantaggio tecnologico in nessun settore della green economy».
LA CHIMICA
Le tassazioni ambientali dell’Europa stanno rallentando un settore che registra quasi il 60 per cento del suo fatturato — oltre 36 miliardi all’estero — come la chimica. Il presidente Francesco Buzzella da un lato fa notare che «con la riduzione programmata delle quote, il conto salirà a 1,5 miliardi di euro entro i prossimi cinque anni». Risorse in meno per i capitoli ricerca e innovazione. Ma Buzzella sembra non meno preoccupato dal prossimo accordo sui target dei tagli di emissione del 90 per cento al 2040. A quella data «molte aziende saranno, così, costrette a scegliere tra la chiusura degli impianti di produzione o la loro delocalizzazione al di fuori dell’Europa».
LA CERAMICA
Anche il settore della ceramica lamenta i rischi sul fronte dell’innovazione. Spiega Augusto Ciarrocchi, presidente della Confindustria di categoria: «L’attuale sistema Ets mette a rischio la competitività del settore ceramico, già gravato da costi per 130 milioni di euro l’anno che saliranno a 190 dal 2026, annullando l’utile netto settoriale ed erodendo risorse destinate agli investimenti in innovazione, indispensabili per mantenere le posizioni sui mercati mondiali». Da qui la necessità, «per non replicare gli errori dell’automotive, servono misure urgenti nell’Omnibus Ambiente atteso per dicembre per sospendere la riduzione delle quote gratuite prevista dal 2026 e ampliare l’accesso alle misure nazionali equivalenti (opt-out) per semplificare gli oneri delle Pmi».
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