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dovrà dare segnali sui diritti civili»


«Si era capito che avrebbe vinto il riformatore Pezeshkian dall’aumento del 10 per cento di affluenza al voto rispetto al primo turno. Una parte del fronte conservatore ha preferito votare lui al ballottaggio, piuttosto che il radicale Said Jalili». Per Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies, la sfida che dovrà affrontare il neo-Presidente iraniano riguarda la ripresa del dialogo con l’Occidente, «in particolare con gli Stati Uniti, a cominciare dal negoziato sul nucleare, per alleviare le conseguenze delle sanzioni sull’economia del Paese». Pezeshkian, cardiochirurgo ex ministro della Sanità, dovrà anche dare «qualche segnale in tema di diritti umani e di allentamento delle regole su come indossare il velo».

Quale scenario esce?

«Si conferma la divisione in tre grandi campi: conservatore, riformista e pragmatico. Il primo è spaccato al suo interno. La corrente principalista, quella della prima generazione di rivoluzionari arrivata al potere, ovvero l’establishment che ha governato finora, aveva candidato al primo turno Mohammad Ghalibaf. Poi c’è la componente ultraradicale dei ranghi di seconda generazione, soprattutto pasdaran, a loro volta divisi».

Una frammentazione che ha aiutato il riformista?

«C’era bisogno di un riformista per legittimare queste elezioni, non come quelle del 2021 blindate per l’elezione di Raisi, il presidente morto in un incidente di elicottero. Pezeshkian non era neppure una figura di spicco o particolarmente carismatica. Ma le cose sono andate diversamente da come le avevano previste gli esponenti della prima generazione. La cocente sconfitta di Ghalibaf ha prodotto un effetto a catena: dovendo scegliere tra un riformista e un ultraconservatore, parte dei principalisti ha pensato che il male minore fosse votare il primo. Lo stesso Ghalibaf era stato tiepido nella dichiarazione di appoggio a Pezeshkian dopo il primo turno e aveva precisato di non avere niente personalmente contro di lui. Infine, prima del ballottaggio c’è stato un forte impulso dei riformisti ad andare alle urne».

I pasdaran non avevano un loro candidato?

«Non proprio. Sono uno Stato nello Stato, un potere enorme ma diviso: settore politico, economico e militare. La stessa Guida Suprema è un decisore ultimo ma non unico, ha bisogno di consenso per governare».

Quali le difficoltà per il neo-Presidente?

«Anzitutto, dialogare con un Parlamento in cui gli ultraradicali sono maggioritari. Gli occorrerà una buona dose di pragmatismo. La camera di compensazione tra i vari poteri sarà il Consiglio supremo per la Difesa nazionale, dove sono rappresentate tutte le componenti. Pezeshkian dovrà portare avanti la linea del negoziato sul nucleare, ma mostrandosi forte verso l’Occidente. Quanto ai diritti, paradossalmente nella campagna elettorale il più aperto era stato l’unico candidato religioso. Ma Pezeshkian dovrà anche lui aprire. La politica estera e di sicurezza resta prerogativa del Consiglio supremo, l’Iran continua a non avere interesse in una guerra tra Israele e Hezbollah. Rischierebbe la guerra civile in Libano».

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