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delusi anche i fedelissimi. E Le Pen vola nei sondaggi


Dopo un’ennesima giornata politica al cardiopalma alle dieci di ieri sera Macron ha ridato l’incarico a Sébastien Lecornu, il fedelissimo già nominato un mese fa e costretto ad andarsene dopo dodici ore dalla nomina del suo governo. Il presidente ha voluto credere fino all’ultimo nella possibilità di un compromesso, di evitare lo scioglimento del Parlamento e di approvare la finanziaria entro la fine dell’anno. Lecornu ci riprova per dovere. «Accetto – per dovere – la missione che mi è stata affidata dal Presidente della Repubblica: fare di tutto per dare un bilancio alla Francia entro la fine dell’anno e rispondere ai problemi della vita quotidiana dei nostri concittadini», ha scritto il nuovo premier su X.

LA ROAD MAP

Dovrà nominare un governo lampo, che già lunedì esamini il progetto di finanziaria. La squadra sarà probabilmente composta anche da tecnici e, in ogni caso, non da personalità con la testa già alle presidenziali del 2027. E con la stessa spada di Damocle della sfiducia. Macron assicura di avergli dato “carta bianca” per negoziare ma, fuori, i leader politici, uno dopo l’altro – compresi membri della coalizione del presidente – hanno cominciato a picconare la roccaforte in cui il presidente appare asserragliato. Un’e-mail inviata alle due e mezza della notte tra giovedì e venerdì aveva convocato i leader dei partiti (escluse le estreme, a destra e a sinistra) a una riunione «della responsabilità» all’Eliseo. Obiettivo: trovare un compromesso dopo il fallimento di Lecornu. Ieri, tra le 14.30 e le 17, sedici leader si sono riuniti allo stesso tavolo con Macron nel salone degli Ambasciatori dell’Eliseo. Telefoni confiscati, per evitare distrazioni foriere di spaccature. La «riunione della responsabilità» ha in realtà certificato la grande difficoltà del compromesso e la crescente solitudine del presidente. La Francia è in un’impasse: le estreme – il Rassemblement National a destra e La France Insoumise a sinistra – chiedono elezioni anticipate o le dimissioni di Macron.

LA CRISI

Nel 2024, dopo aver perso le elezioni europee, ha indetto elezioni anticipate. Ne è uscito con un gruppo ancora più ristretto e nessuna maggioranza possibile. Ha nominato prima un premier di destra (Barnier), sfiduciato; poi un premier di centro (Bayrou), sfiduciato anche lui; poi Lecornu, imploso senza nemmeno arrivare alla sfiducia. E ora insiste. La sinistra socialista, verde e comunista chiede di provarci; il presidente assicura che il cosiddetto «solco comune» – la maggioranza relativa composta dal blocco presidenziale e dalla destra moderata dei Républicains – può continuare a essere il perno del governo. Ma da ieri pomeriggio anche quest’ultimo, già insufficiente, perno scricchiola pericolosamente. «Il solco comune è morto», ha sancito Bruno Retailleau, capo dei Républicains. Stamattina il partito si riunirà per decidere come comportarsi con il nuovo governo. L’ex premier Édouard Philippe, che fa parte della coalizione presidenziale, ha fatto sapere che probabilmente «non parteciperà» a un nuovo governo. Il nodo che resta da sciogliere è quello della riforma delle pensioni. La sinistra ne reclama il ritiro; la destra e parte del campo presidenziale (Philippe compreso) lo escludono. Macron ha proposto un «rinvio dell’applicazione delle misure a dopo le presidenziali del 2027». Insufficiente per gli uni, troppo per gli altri. Al «Lecornu 2» spetta ora trovare la quadra. Da vedere che cosa faranno i socialisti, che restano ago della bilancia: se unissero i loro voti alla sfiducia di Le Pen e Mélenchon, il governo cadrebbe. «Macron non ha fornito risposte chiare sulle pensioni o sul potere d’acquisto», ha deplorato il segretario socialista Olivier Faure. «Tutto questo finirà male», con uno «scioglimento dell’Assemblea nazionale», ha dichiarato la leader dei Verdi Marine Tondelier. Marine Le Pen si è invece goduta lo spettacolo da Le Mans, dove ha assistito al congresso nazionale dei pompieri e si è concessa un bagno di folla sotto il sole. «Mercanti di tappeti» ha definito i partecipanti alla riunione all’Eliseo. E vola nei sondaggi: oltre il 36 per cento in caso di legislative anticipate.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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