Tutti promossi. O quasi. Mentre il referendum sulla riforma della giustizia entra nel vivo, Carlo Nordio torna sui “guai” della magistratura italiana e il “correntismo” che il governo promette di scardinare. Si serve della fredda aritmetica questa volta il Guardasigilli e rispondendo a un’interrogazione del deputato forzista Enrico Costa torna su un terreno delicatissimo: le “pagelle” del Consiglio superiore della magistratura alle toghe. Sciorina dati. Sono notevoli. Negli ultimi cinque anni, le “bocciature” dei magistrati sottoposti alla valutazione del massimo organo giudiziario sono ridotte al lumicino. Intorno all’ 1 per cento.
I NUMERI
Con ordine. Dal 2021 sono 9.797 magistrati ordinari passati per lo scrutinio del Csm. Ed ecco i numeri elencati da Nordio: «Le valutazioni positive risultano essere pari alla misura percentuale del 99,47% per l’anno 2021, al 99,23% nel 2022, al 99,41% del 2023, al 98,85% del 2024, al 98,69% del 2025». Un semaforo verde continuo. Con poche, anzi pochissime eccezioni.
Quest’anno, per dire, su 1222 toghe il cui operato è stato valutato dal Csm, solo 16 non hanno passato l’esame. Dieci valutazioni negative, sei “non positive”: l’1,31 per cento. Cifre simili a quelle fornite dall’ex ministro Cartabia negli anni scorsi proprio a Costa, che oggi picchia duro: «Di fronte a queste percentuali bulgare delle due l’una: o sono tutti dei fenomeni ed il nostro sistema giustizia è una macchina perfetta, oppure il giudizio ‘positivo’ non si nega a nessuno, per anzianità e non sulla base dell’attività svolta» dice al Messaggero. Anche se, va detto, promozioni a iosa sono trasversali in tutta la pubblica amministrazione italiana.
I numeri comunque servono al governo per lanciare la campagna giudiziaria sulla separazione delle carriere, rinfocolano la battaglia contro le “correnti” che — l’accusa a destra — decidono vita morte e miracoli di giudici e pm. E chiudono un occhio, ma anche due, sui guai che affliggono la giustizia italiana: ritardi, lentezze, fascicoli che si affastellano negli armadi dei tribunali. «Il problema fondamentale è che oggi pubblici ministeri, cioè accusatori, e giudici siedono nello stesso Consiglio Superiore della Magistratura: votano l’uno con l’altro, appartengono alle stesse correnti, sia pure diversificate, fanno la stessa campagna elettorale nel momento delle elezioni» rincara Nordio in serata a Quarta Repubblica.
«Il paradosso? I pubblici ministeri, cioè gli accusatori, danno i voti ai giudici». L’ex procuratore di Venezia denuncia un «dialogo impossibile» con i togati e li avvisa in vista del voto in primavera: «Più si espongono politicamente, più perdono davanti ai cittadini la credibilità di imparzialità». Oggi il ministro dovrebbe avere un faccia a faccia con la premier a Palazzo Chigi per preparare la corrida elettorale sulla giustizia. E per impostare la trattativa con l’Anm sui decreti attuativi della riforma, che contengono i veri nodi da sciogliere. Ad esempio il sorteggio dei membri togati del Consiglio superiore. Il tempismo dell’interrogazione sulle pagelle del Csm non è casuale. Perché il faro del ministero di via Arenula sulle falle del sistema disciplinare dei giudici italiani si accende, si diceva, mentre si scalda la battaglia referendaria. Da venerdì, all’indomani del via libera alla riforma al Senato, è iniziata la processione di parlamentari di maggioranza e opposizione nell’aula delle giunte, al secondo piano di Montecitorio. Una gara a raccogliere firme per depositarle in Cassazione e schiacciare per primi il “bottone” del countdown referendario. Giorgia Meloni prepara da tempo la sfida alle urne, convinta dai sondaggi riservati che la maggioranza degli italiani voterà a favore della riforma. Ha dato mandato ai suoi di “non politicizzare” troppo la campagna, per evitare di trasformarla in un plebiscito sulla sua persona. Cautela imposta, mentre le opposizioni serrano i ranghi intorno alla campagna per il no. O almeno ci provano, con Carlo Calenda che torna a smarcarsi: «Per me si tratta di una riforma giusta soprattutto perché libera il Csm dal sistema Palamara» dice a Tagadà su La7 il leader di Azione. Mentre Renzi randella il governo: «Questa riforma è uno specchietto per le allodole».
Dietro le quinte le truppe si muovono. Meloni vuole preparare per tempo il test elettorale. Venerdì si sono precipitati nell’aula al secondo piano i capigruppo Paolo Barelli, Galeazzo Bignami, Riccardo Molinari e Maurizio Lupi. Anche a sinistra la corsa è partita: Chiara Braga, Riccardo Ricciardi e Luana Zanella sono stati indicati dal “campo largo” come delegati a depositare le firme al Palazzaccio. Rullo di tamburi. Il countdown per la sfida sulla giustizia — ma forse la posta in gioco è più alta — è ufficialmente iniziato.
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