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«Colture spaziali per conquistare pianeti lontani»


Se l’uomo colonizzerà altri pianeti avrà necessità di cibo fresco che dovrà produrre in loco. A livello internazionale, infatti, ci sono investimenti importanti sulla ricerca nell’agricoltura spaziale. In Italia, Stefania De Pascale è uno dei massimi esperti del settore, avendo dedicato gli ultimi 25 anni allo studio degli effetti della microgravità e delle radiazioni ionizzanti sulle piante ed allo sviluppo di moduli serra per la Stazione Spaziale Internazionale. De Pascale sarà uno degli ospiti di Gecko Fest 2024, che dal 6 al 15 settembre 2024 si terrà a Spina, provincia di Perugia ed altre città storiche dell’Umbria: l’edizione di quest’anno intitolata Rabdomànzia, mette al centro di conferenze, spettacoli, concerti e mostre, l’importanza dell’acqua, fonte primaria per la vita e l’agricoltura.


In Italia è stata tra le prime ad occuparsi di agricoltura spaziale. Da dove nasce questo interesse?

«Ho sempre avuto la consapevolezza dell’importanza del settore e delle piante per la vita di tutti noi. Quando ho incontrato quello che è stato il mio compagno per diversi anni, un ingegnere aerospaziale, mi ha raccontato delle sue ricerche e della stazione spaziale internazionale. Da lì ho iniziato ad appassionarmi alla crescita delle piante in condizioni di microgravità e ho cominciato piccoli progetti finanziati dall’Agenzia Spaziale Italiana. Mi sono subito resa conto che le piante sarebbero state un elemento importante per la futura esplorazione spaziale».

Perché avranno questo ruolo così importante nelle missioni spaziali?
«Quando andremo a colonizzare i pianeti lontani, non potremmo portare con noi tutte le risorse che serviranno, quindi sarà necessario rigenerare quelle fondamentali per la vita. Quello a cui si pensa nel mondo scientifico è di creare una sorta di ecosistema artificiale, in cui ci sono compartimenti destinati ai diversi organismi biologici e in questo sistema le piante avranno un ruolo fondamentale: rigenerare l’aria attraverso la fotosintesi, purificare l’acqua attraverso la traspirazione, produrre cibo fresco, anche utilizzando parzialmente i rifiuti organici dell’equipaggio».

Lei è attiva in molti progetti di ricerca, a quali sta lavorando attualmente?
«Al momento stiamo lavorando con l’Asi per realizzare un apparato di crescita per la produzione di micro ortaggi in condizioni di microgravità sulla Stazione Spaziale Internazionali e sulle future piattaforme orbitanti, pensiamo per esempio al Lunar Gateway o alle navicelle destinate a portare gli equipaggi verso viaggi più lontani, per integrare l’alimentazione degli astronauti che oggi è fornita dalla Terra. Quando ci allontaneremo dalla Terra, non ci sarà più rifornimento costante, per cui dovremmo coltivare specie dal potere calorico; con l’Esa stiamo lavorando alla realizzazione di un apparato di crescita per la produzione di patate che hanno un maggiore valore nutritivo».

Sulla Luna e Marte, come si potrà coltivare in ambienti così ostili?
«Per la crescita delle piante stiamo testando la regolite, il materiale dei suoli lunari e marziani, ovviamente utilizziamo dei simulanti ottenuti grazie ai dati recuperati dalla Nasa, ma non potremmo avere le serre come sulla Terra, piuttosto degli ambienti protetti, perché nello spazio ci sono le radiazioni che rappresentano un grossissimo ostacolo alla sopravvivenza di qualunque essere vivente; ipotizziamo di coltivare in ambienti sotterranei o schermati da scudi antiradiazione con sistemi di illuminazione artificiale per la crescita delle piante».

Dalle lezioni spaziali che cosa ci riportiamo qui a casa sulla Terra?
«La prima grande lezione è che l’esplorazione spaziale dovrà essere una scelta, non una necessità perché siamo alla ricerca di un pianeta B perché abbiamo esaurito le risorse sul pianeta A. La seconda è che occorre utilizzare al meglio le risorse. E poi ci sono tutta una serie di lezioni dal punto di vista delle tecnologie per migliorare l’efficienza della nostra agricoltura che ci garantiranno probabilmente non solo di andare nello spazio, ma anche coltivare ambienti estremi, per esempio nei deserti oppure recuperare i suoli degradati». 

Sarà ospite di Gecko Fest dedicato al tema dell’acqua. In agricoltura quali soluzioni ci sono per utilizzarla in modo equilibrato?
«Le soluzioni sono tante e disponibili sia in termini di conoscenze che di tecnologie e senza arrivare agli estremi dell’agricoltura di precisione. Quello che manca è il trasferimento reale di queste informazioni; c’è un gap tra quello che la ricerca produce, che l’industria rende disponibile e quello che di fatto viene applicato nella nostra agricoltura. Non abbiamo mai avuto un sistema reale di trasferimento tecnologico, quindi gli agricoltori hanno difficoltà ad approcciare le nuove tecnologie; dall’altro c’è anche il discorso che purtroppo la nostra agricoltura è molto frammentata, per cui abbiamo bisogno di azioni puntuali che tengano conto delle specificità dei diversi contesti agricoli. Non esiste un’unica soluzione per tutti».

Al festival presenterà il suo libro “Piantare patate su Marte, il lungo viaggio dell’agricoltura”, cosa racconta?
«L’agricoltura spaziale è il pretesto per raccontare e per spiegare l’importanza dell’agricoltura, porre l’accento sul ruolo straordinario delle piante, per informare su quello che il mondo della ricerca sta facendo e su quanto il saper affrontare delle sfide così complesse potrà essere un beneficio per promuovere pratiche responsabili e sostenibili anche sul nostro pianeta. L’agricoltura spaziale ha sicuramente imparato molto da alcune forme di agricoltura terrestre, quelle più high-tech e dalle colture protette, come le serre. Oggi invece è l’agricoltura terrestre che potrà imparare qualcosa da quella spaziale».

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