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Bot al posto dei follower. Così l’IA colonizza i social


NEW YORK — Poco più di una settimana fa nel corso della conferenza degli sviluppatori di Meta l’annuncio di un nuovo progetto è passato quasi inosservato, nascosto in una agenda come sempre molto affollata: promette di iniziare a includere nei feed di Facebook e Instagram post generati dall’intelligenza artificiale, che si affiancheranno a quelli di parenti e amici e saranno disegnati attorno agli interessi del singolo utente. Nonostante sia stata introdotta come un cambiamento minore e sperimentale, la scelta di Meta rappresenta un possibile sviluppo futuro dei social media, dove informazioni generate da utenti reali si mescoleranno a quelle create dalle macchine. Per ora saranno solo immagini e — dicono dal gruppo di Menlo Park — gli utenti potranno scegliere se approfondire e continuare a chiedere nuovi contenuti IA o scegliere di vedere solo quelli prodotti da persone vere. 

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EVOLUZIONE

Questa decisione è inoltre vista come la naturale evoluzione di quello che Meta sta cercando di fare già da tempo: diminuire il numero di contenuti prodotti dagli amici, optando per un algoritmo capace di suggerire post prodotti da influencer e content creator che possano avvicinarsi ai nostri gusti. Allo stesso tempo, il colosso dei social sta integrando i modelli IA anche nelle conversazioni di Messenger e nella sezione dei commenti dei post di Facebook. E questo apre la porta al secondo fenomeno che è emerso nelle ultime due settimane. Michael Sayman, ex giovanissimo sviluppatore di Facebook, ha appena messo sul mercato l’app dei suoi sogni: si chiama SocialAI ed è un social network molto simile a Twitter in cui tutti gli altri utenti sono dichiaratamente bot, in questo caso con una grande differenza rispetto al social di Elon Musk che da tempo è invaso da troll e profili gestiti da macchine senza che sia esplicitamente segnalato. SocialAI è molto diverso da un chatbot, da ChatGPT o da Claude, prodotti che prevedono un modello a domanda e risposta per creare una conversazione. In SocialAI le informazioni richieste dall’utente sono fornite sotto forma di risposte di altri utenti, che ovviamente, nonostante i nomi reali e le foto, altrettanto reali, sono generati da un modello sintetico. Un modello che però può essere personalizzato scegliendo il tipo di utenti con cui si vuole interagire: scettici, pessimisti, critici, troll, fan, ottimisti, intellettuali, visionari e così via. Sayman in una recente intervista con The Verge ha detto che il sistema è in grado di migliorare con il tempo, conoscendo più a fondo l’utente con il quale lavora. 

LE REAZIONI

Il nuovo social è stato accolto con umori molto diversi: sul subreddit r/SideProject alcuni utenti hanno attaccato il progetto di Sayman definendolo distopico e pericoloso per l’umanità. Il suo fondatore ha una visione opposta: la vera distopia è legata al fatto che oggi non puoi sapere con certezza se stai discutendo con una persona reale o con un bot. «Non sto cercando di sostituire la comunicazione tra persone reali. Sto cercando di dare una seconda opzione quando quella persona che stiamo cercando non è presente». E qui si apre un altro importante capitolo del rapporto che abbiamo con le macchine. Sherry Turkle, psicologo e sociologo del MIT, da anni studia la nostra relazione con le macchine e ha coniato il termine «intimità artificiale», per definire quel rapporto con tecnologie in grado di dirci «ci tengo a te, ti amo, aiutami», frasi molto complesse da inquadrare se riferite a un computer. 

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LE STORIE

Di recente, come ha spiegato nel podcast Body Electric, Turkle ha intervistato centinaia di persone sulla loro esperienza con l’intelligenza artificiale generativa: tra le tante storie raccolte dalla ricercatrice c’è quella di un uomo sposato che ha costruito una relazione con una “fidanzata” chatbot. Ha raccontato che avendo perso la connessione romantica con la moglie, si è iniziato a rivolgere al computer per condividere le sue idee e le sue paure. Turkle sostiene che questo ambiente privato e positivo ha dato la possibilità all’uomo di esprimersi senza sentirsi giudicato, nonostante ci siano limiti e possibili effetti collaterali, come per esempio le attese che di solito si hanno in una relazione reale. Poi ci sono degli enormi problemi di privacy. Mozilla Foundation sostiene che non appena iniziamo a discutere con un bot centinaia di sistemi iniziano a registrare il nostro comportamento e i nostri pensieri più intimi. E per ora, continua Mozilla, non ci sono certezze su come questi dati siano usati, se venduti ad altre aziende pubblicitarie o di marketing o se usati per allenare altri modelli. 

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