Il lavoro dovrebbe essere un diritto, qualcosa in grado di nobilitare tutti gli uomini. Invece, ancora oggi, a volte lavorando si muore. In media nel nostro paese, muoiono 3 persone al giorno. Padri, madri, figli che una volta usciti di casa per lavorare non tornano più. Parlare di sicurezza sul lavoro è un dovere, ma le parole non bastano più. Bisogna agire, bisogna lasciare un segno concreto per far si che questo numero drammaticamente alto si riduca.
Gli stati generali della Salute e Sicurezza sul lavoro, promossi dalla commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, hanno proprio questo obiettivo. Far si che di sicurezza sul lavoro non ci si limiti a parlare. Far si che si prendano misure concrete per creare una rete in cui sicurezza non è solo formalità o legge, ma cultura e vita.
L’obiettivo, ha detto la Vicepresidente della Camera dei deputati Anna Ascani, è quello di rendere il lavoro sicuro, giusto, umano; trasformare le parole in fatti, e la formalità in cultura. Ad illuminare il cammino: un faro sulla prevenzione. Le regolamentazioni non mancano. Ora è necessario lavorare sulla consapevolezza.
A volte i numeri parlano più delle parole e questo è uno di quei casi. Lo sa bene l’ex ministro del lavoro e delle politiche sociali Nunzia Catalfi che ha lasciato che a parlare fossero loro.
Ad agosto 2025 gli infortuni registrati sono stati più di 50.000. Tra questi 12.229 sono stati tra studenti. 7 sono stati mortali. 7 giovani tra i 14 e i 19 anni che lì, mentre cercavano di imparare per il loro futuro, hanno perso la vita, mettendo un punto al presente. Un numero drammaticamente alto quello riportato da Catalfi, sul quale è necessario riflettere. Se le norme ci sono, dov’è il vero problema? Manca una sinergia tra tutte le parti coinvolte, manca un accordo tra scuola e lavoro.
Quando si parla di sicurezza sul lavoro bisogna partire dal basso per creare cultura, bisogna partire dalle nuove generazioni. Son loro il futuro di domani e sono loro a dover capire ora che il confine tra rischio ed esperienza è labile e sottile.
Lo sanno bene Dino Parelli e Mariaelena Dantesano, genitori di Lorenzo Parelli, morto durante un tirocinio. “La vita è sacra. Voi tutti avete diritti e doveri. Avete il dovere di dire no quando ciò che vi viene chiesto non è sicuro” ha detto Dino Parelli. Suo figlio era un ragazzo come tanti altri, uscito, quel 21 gennaio 2022 , per svolgere un banale tirocinio e non tornato a casa mai più.
Ad un dolore simile non c’è rimedio, non si vive dopo, si sopravvive, ma i genitori di Lorenzo hanno deciso di farlo in modo coraggioso, donandosi affinchè ciò che è successo a loro no si ripeta mai più.
Dal loro dolore e dal loro amore è nata “La carta di Lorenzo”. Non solo un testo, ma un punto di partenza, per rendere il nostro paese un posto migliore. Per stringere le reti lì dove le scuole lasciano le maglie troppo larghe.
Per gli studenti delle scuole chiamati ad avvicinarsi al mondo del lavoro, quest’anno il ministero dell’istruzione e del merito ha avviato una rivoluzione importante, Una rivoluzione che parte dal nome. Non più alternanza scuola lavoro, non più Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, ma formazione scuola lavoro. Una questione apparentemente semantica , evidenzia Raffaella Briani, che dietro cela molto di più. Cela una continuità che oggi è vita.
Secondo i dati, le percentuali di infortuni sul lavoro si concentrano al nord, dove la presenza di grande aziende aiuta l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Al sud la situazione è differente ed è necessario un intervento maggiore delle istituzioni. Lo sa bene l’assessora alle politiche giovanili e al lavoro del comune di Napoli, Chiara Marciani, in prima linea per risolvere il problema, varando proposte interessanti. La volontà alla base è quella di avvicinare i ragazzi alle istituzioni comunali, ma non solo. Resta una priorità la diffusione della consapevolezza dell’importanza della salute e la sicurezza sul lavoro. Sul tema il comune ha cercato di intervenire in un modo accattivante. Un quiz da svolgere, delle novità da proporre e una partita del Napoli come ricompensa. “Ci siamo aiutati, ma ha funzionato” ha commentato l’assessora.
E’ questo che serve ai giovani Cambiare la prospettiva. E in questo mondo sempre più intriso di nuove tecnologie è arrivato il tempo di usarle come ausiliari. Il termine intelligenza artificiale a volte spaventa, ma come ricorda Vincenzo Cangemini, “siamo noi ad educare l’IA. Se lo facciamo con uno scopo di lucro non potrà mai andare bene, ma se lo facciamo per fini benefici allora non possiamo sbagliare”.
Partendo dall’IA, allora, sono al vaglio nuovi strumenti, In particolare un’applicazione finanziata dall’INAIL e progettata dal politecnico delle Marche. L’obiettivo? Prevenire gli infortuni sul lavoro, trasformando in ludico ciò che ludico non è, evidenzia Milena Tallarico Per farlo, serve qualcosa che rimanga impresso nella memoria e forse ora una risposta c’è. Una simulazione che ci mette sul campo in prima linea per insegnarci cose che a parole rischiano di scivolare via.
In questo nuovo spazio tra lavoro e tecnologia l’INAIL vuole esserci. Nelle grandi, medie e piccole aziende. Burocrazia e difficoltà applicative, però, frenano troppo spesso le buone pratiche, evidenziano gli imprenditori Della Torre e Vellone. Come ha sottolineato Stefano della Torre, serve una presenza attiva sul campo . Serve qualcuno che insegni passo dopo passo ed ora l’IA può farlo.
L’idea di affidarsi totalmente all’IA, però, è rischiosa: un braccialetto che avvisa quando stai per cadere, può abbassare la soglia di attenzione, deresponsabilizzando le persone,avverte Patrizia Agnello. Il pericolo allora non è solo l’incidente, ma la perdita di autonomia. La sicurezza è cultura, prevenzione, responsabilità. Non può essere delegata, né ignorata. Deve essere parte della nostra quotidianità. A partire dalla scuola. A partire da ciascuno di noi.
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