L’intesa arriva al termine di un’altra giornata da cardiopalma. Un compromesso. Il governo trova la quadra sulla tassa alle banche e alle assicurazioni. Ma gli istituti, a tarda serata, erano irritati e pronti alla trincea: se è su base volontaria andrebbe bene. Stamane comunque Maurizio Leo chiamerà Marco Elio Rottigni, direttore generale dell’Abi. La manovra si aggirerà intorno ai 5 miliardi di euro (circa 600 milioni dal settore assicurativo). Ma non saranno toccati gli “extra-profitti” degli istituti di credito. Serve un nuovo vertice serale fra la premier Giorgia Meloni e i capi della coalizione per sciogliere la riserva. Otto di sera. Antonio Tajani, Matteo Salvini e Maurizio Lupi la raggiungono a Palazzo Chigi. Da New York si collega Giancarlo Giorgetti. Un’ora per fare il quadro sulla Manovra che il governo porterà questa mattina al primo vaglio del Cdm. Ma si va subito alla nota dolente. Le banche. Per tutto il giorno Lega e Forza Italia duellano senza esclusione di colpi. Salvini rivendica la linea dura contro gli istituti. «Le banche metteranno con gioia a disposizione del Paese 5 miliardi per aiutare famiglie e imprese in difficoltà» avverte minaccioso il ministro dei Trasporti. Da Napoli, a stretto giro, gli risponde tuonando Tajani: «Non voteremo mai una tassa sugli extra-profitti. È una cosa sovietica». Meloni è spazientita. Convoca un vertice d’urgenza in serata. E fa sapere prima ancora che i leader si siedano, a scanso di equivoci, che stamattina la finanziaria atterrerà in Cdm. Come a dire: bisogna chiudere. La tensione fra leghisti e forzisti deve rientrare. Succede in serata, quando il governo trova il compromesso. Alle banche sarà aumentata l’Irap. Di due punti percentuali. Nel dettaglio: l’attuale aliquota del 3,9 per cento viene aumentata di uno 0,75 per cento specifico per il settore bancario e di un valore medio nazionale dello 0,8 per cento dovuto alle maggiorazioni delle Regioni. Fin qui la nuova tassa. A cui si aggiunge una seconda soluzione per rastrellare risorse. Scende infatti dal 40 per cento al 27 per cento la “exit tax”, ovvero la tassa che le banche devono pagare per “sbloccare” le riserve congelate nel 2023 e redistribuirle. Un meccanismo questo su base volontaria. Ecco la quadra. Arriva, si diceva, dopo una lunga e faticosa trattativa. Di giorno le schermaglie tra Lega e FI. E i telefoni che squillano all’impazzata. Meloni media. Sente il fedelissimo Maurizio Leo, viceministro all’Economia con delega al Fisco. Poi, durante la riunione, raccontano, alza il telefono e ha un contatto con i vertici dell’Abi, l’associazione delle banche italiane che da giorni fa valere le sue ragioni contro una nuova tassa al settore. «Dobbiamo trovare una soluzione insieme», avvisa la presidente del Consiglio. Decisa a tirare fuori il governo dall’impasse. Mentre Giorgetti, dagli Usa, si dice «sereno e fiducioso». La soluzione si trova ed è un mix fra la “linea dura” auspicata dai leghisti (che a tarda sera esultano e rivendicano il “tesoretto” dalle banche) e i paletti dei forzisti. Da un lato l’Irap, dall’altro il contributo “volontario” per sbloccare le riserve. Basteranno, nei calcoli del governo, a mettere da parte quasi 5 miliardi, se si include il contributo chiesto alle assicurazioni. Fondi che serviranno a rifinanziare il fondo per la Sanità, che nel 2026 dovrebbe toccare il tetto di 7,4 miliardi (con un’aggiunta, quest’anno, di 2,4 miliardi). È un punto su cui insiste la premier. Anche Tajani può tirare un sospiro di sollievo. In giornata, raccontano, ha avuto un contatto telefonico con Marina Berlusconi. E a tarda sera può rivendicare il risultato politico. La tassa “sovietica” sugli extraprofitti non c’è. Mentre i leghisti stappano tappi di champagne perché in Manovra è passata la rottamazione delle cartelle (battezzata “pace fiscale” da Salvini). Una rottamazione “larga”: sarà sì prevista una rata minima (tra i 50 e i 100 euro) per chi vuole venire a patti con il Fisco italiano, ma senza l’acconto del 5% in entrata ventilato alla vigilia.
A tarda sera però banche sul piede di guerra. Due-tre grandi banchieri, dai loro canali diretti con la politica, hanno appreso il conto da pagare nel triennio: 4,3 miliardi per 2026 e 2027, 2,3 miliardi per il 2028. Ma soprattutto avrebbero capito che sarebbe stata introdotta una imposizione tributaria. Se davvero fosse così, le banche sono pronte a reagire. Come? Potrebbe deciderlo un comitato esecutivo straordinario nelle prossime ore. Possibile che la reazione sia una posizione ufficiale dell’Abi molto netta e contraria.
Ma si naviga nel buio. La tensione è molto alta. L’assenza di chiarezza potrebbe costare oggi, un altro bagno di sangue in borsa, dopo la giornata positiva di ieri. Verrebbe esteso di due anni l’anticipazione di liquidità. Altre misure riguardano l’aumento di due punti dell’Irap a carico di banche e assicurazioni che oggi è del 4,65% e salirebbe al 6,65% banche e assicurazioni. Inoltre ci sarebbe la riduzione dal 40 al 27% dell’aliquota per sbloccare dalla riserva obbligatoria i 4,9 miliardi appostati nel 2023: il costo sarebbe di circa 1,2 miliardi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Risparmio e investimenti, ogni venerdì
Iscriviti e ricevi le notizie via email