(Non) buona la prima. Si è sbriciolata in meno di 24 ore la compattezza granitica con cui la delegazione del Pd a Strasburgo aveva tributato il suo sì al bis di Roberta Metsola. Lo scoglio su cui si infrange l’unità del gruppo, come già avvenuto in passato, è la risoluzione del Parlamento europeo sul sostegno dell’Ue all’Ucraina. Che contiene una serie di passaggi spinosi per un verso o per l’altro. Da una parte, la necessità per i Paesi europei di continuare a fornire armi a Kiev, anzi di «aumentare in misura sostanziale e accelerare in modo significativo – si legge nel testo – il loro sostegno militare». Dall’altra, il documento del Pe – che in quanto risoluzione ha valore pressoché simbolico, di impegno per la futura Commissione – chiede di rompere quello che finora è stato considerato un tabù, almeno in Italia: «L’eliminazione delle restrizioni all’uso dei sistemi di armi occidentali forniti all’Ucraina contro obiettivi militari sul territorio russo». Detto in altre parole: la possibilità per Kiev di usare quelle armi non solo per difendersi dagli attacchi su suolo ucraino, ma per colpire oltre il confine di Mosca.
Ecco perché quando leggono il documento, il primo test del voto della nuova eurolegislatura, i dem più avvezzi a capire l’aria che tira già prevedono come finirà: in ordine sparso. O quasi. Perché se il grosso della delegazione italiana tiene, non si può chiedere a chi per tutta la campagna elettorale ha caldeggiato un’inversione di rotta sulle armi (come Marco Tarquinio e Cecilia Strada) di ingranare la retro al secondo giorno di mandato. E infatti il voto finale vede i dem compatti schierati per il sì. Tutti, tranne l’ex direttore di Avvenire e l’attivista per i diritti umani, che si astengono. Mentre Lucia Annunziata, altra «indipendente» eletta nelle file dem, non vota «a causa di un errore tecnico», recita la versione ufficiale. «Imbarazzi nel gruppo? No, nessuno: Strada e Tarquinio sono indipendenti», liquida la questione Alessandro Zan, immerso in una discussione con Alessandra Moretti in una delle mille passerelle del palazzo Luise Weiss che ospita l’emiciclo. Epperò il segnale è chiaro: «Certo che cinque anni così, a smarcarsi su ogni emendamento, sarà tosta…», si lascia andare a taccuino chiuso un altro big dem.
LE SPACCATURE
Già, perché la questione è più intricata di così. Prima del sì o no finale infatti la risoluzione viene votata punto per punto. E punto per punto i dem vanno di qua e di là. Ecco il passaggio più controverso, quello sulla possibilità per Kiev di usare le armi su territorio russo: l’indicazione per i dem è di votare contro, come fanno la Lega, la Sinistra e i Verdi. Ma stavolta a smarcarsi sono due atlantiste convinte, Pina Picierno ed Elisabetta Gualmini. Che si astengono. Il record, però, arriva sul passaggio in cui si chiede di «rafforzare la capacità delle industrie militari». Qui i dem si spaccano addirittura in tre: favorevoli Picierno, Gualmini, Irene Tinagli, Giuseppe Lupo e Pierfrancesco Maran, contrari Strada, Tarquinio e Annalisa Corrado, astenuti tutti gli altri. «Se abbiamo creato il panico nel gruppo? Nessun panico: le nostre posizioni erano chiare», spiega Strada qualche ora dopo, tra le tartine e lo spumante del briefing di benvenuto per stampa e parlamentari italiani nell’edificio Winston Churchill: «E poi mancava qualunque riferimento a un negoziato per una pace giusta». Stessa linea di Tarquinio: «Mi rammarica che espressioni conferenza di pace e iniziative diplomatiche non siano parte del testo». A sera Dario Nardella prova a rimettere insieme i cocci: «Sì al sostegno a Kiev ma serve più sforzo diplomatico. Insomma, c’è molta strada da fare, ma la tenacia non ci manca». Sulla compattezza, invece, si può sempre migliorare.
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